«Agostino Riccardo è entrato sotto l'ala di Armando Di Silvio grazie a me. Riccardo mi disse che lui c'aveva storie con la politica, poteva portare soldi e io sono andato da Armando e ho messo una buona parola». Comincia così il racconto di Renato Pugliese sul «fronte elettorale» di Lallà, che fino al 2014 non esisteva. Un business legato all'affissione dei manifesti, fino a quel momento in mano al gruppo più vicino alla squadra del Latina Calcio. «Riccardo aveva già fatto la campagna per Maietta (Pasquale ndc) e ha detto che per le elezioni lui poteva fare affari con la politica. E così Armando lo ha fatto entrare e poi effettivamente abbiamo fatto tanti soldi perché la politica a Latina ce l'avevamo tutta in mano noi». Una frase che, come ha spiegato lo stesso pentito, indica il business dell'attacchinaggio che, per le elezioni del 2016, ha riguardato diverse liste.
A precisa domanda del pm sui motivi per i quali taluni politici si rivolgessero proprio a Riccardo, questi ha detto che dipendeva dal loro potere di «mantenere» intatti i manifesti. «Riccardo disse che aveva la politica in mano ed effettivamente, si è visto poi, era così. Si sapeva che se i manifesti li attaccavamo noi, nessuno li avrebbe staccati e avevamo il monopolio, potevamo occupare nove tabelloni su dieci, nessuno diceva nulla.
A Latina abbiamo coperto tutto con ‘Noi con Salvini', a Terracina c'era Gina Cetrone che era il nostro punto forte. E abbiamo guadagnato bene, sono entrati 200-300 euro al giorno, noi sapevamo cosa e come fare ed eravamo tanti, una bella squadra. Gli altri, quelli di Sabatino Morelli, si tennero pure loro qualcosa ma il grosso era tutto nostro. Poi c'era Raffaele Del Prete che ha proposto tutto insieme, cioè manifesti e voti. Alla fine sono entrati circa 30mila euro per i manifesti. Riccardo lo aveva detto che con lui la politica era tutta nostra ed effettivamente è stato di parola. Ad Armando interessavano solo i soldi e aveva visto questa possibilità di guadagno e lo ha detto a Morelli, che si è tenuto pure qualcosa per lui a livello di attacchinaggio ma poca roba». Dunque il monopolio delle affissioni dei manifesti elettorali e, in un caso, il pacchetto inclusivo di eventuali voti, erano, nel mondo e nella testa del capo dei Di Silvio, un business come altri. Nessuna adesione ideale o sostegno, solo denaro da guadagnare presto, alla stessa stregua delle estorsioni e del traffico di droga.
Lo conferma anche Pugliese: «... Riccardo e io facevano un po' tutto, insomma quel che c'era da fare, estorsioni droga, storie di politica» e per storie di politica intende, come precisa in un paio di passaggi, il controllo dei tabelloni dove non ce ne era per nessuno se lo «squadrone» accettava l'incarico di promozionare una lista o un'altra.