Un luogo isolato dal punto di vista dei collegamenti dove le forze dell'ordine erano territorializzate e in troppi casi permeabili. Alle 20.40 di ieri è partita così, con una macchia profonda, l'audizione del procuratore aggiunto Michele Prestipino in Commissione Antimafia sul «caso Latina», arrivata a pochissime ore dagli ultimi arresti. Molte cose, è stato ribadito, sono cambiate nell'apparato investigativo negli ultimi anni e anche nella squadra -Stato presente in loco: «Adesso abbiamo un'ottima intesa e si sta facendo un gran lavoro con gli apparati del territorio, con la Prefettura, dove vado per i comitati per la sicurezza quando si discute di aspetti che attengono fatti di criminalità organizzata».
Il quadro che è emerso parzialmente era conosciuto, ma ieri sera sono state fatte molte integrazioni. «L'area di cui parliamo storicamente registra la presenza della camorra e in specie del clan dei casalesi e della ‘ndrangheta - ha detto Prestipino, presente in aula con i sostituti Luigia Spinelli e Carlo Fasanelli - cui si è aggiunto un lavoro investigativo su un clan autoctono, quello dei Di Silvio, un nucleo radicato in un quartiere di Latina». L'audizione è servita in primis a ricostruire cosa è stato già accertato circa la presenza di organizzazioni mafiose sul territorio e in specie le sentenze Damasco, Noviello e Gallace, cui si sono aggiunte le indagini sui Crupi, i Gangemi e D'Alterio per quanto riguarda il Mof di Fondi. Il nocciolo dell'audizione ha riguardato, come prevedibile, i pentiti del clan Di Silvio e i rapporti con la politica. «Il collaboratore ha consentito di avere un quadro del carattere mafioso di quella famiglia, - ha aggiunto Prestipino - era un gruppo che si sentiva padrone della città e questo si evince dalle estorsioni che non erano di carattere predatorio. Questi acquistavano beni senza pagare perché erano, appunto, i padroni. Il collaboratore ha dato un grande contributo sul prestigio di quella organizzazione».
Per quanto riguarda i contatti con la politica è stato ribadito dal procuratore che le dichiarazioni dei pentiti e su cui in parte sono ancora in corso riscontri riguardano le campagne elettorali di febbraio 2013, le amministrative di maggio e giugno 2016 (sindaco di Latina) e maggio 2011 (sindaco di Latina) e che con l'arresto della Cetrone si è avuto un primo step. Alcuni passaggi dell'audizione hanno toccato tasti assai delicati, per esempio le estorsioni praticate dai Di Silvio in danno di alcuni avvocati: «Episodi gravissimi. A Palermo, a Reggio Calabria non ho mai visto estorsioni agli avvocati. Colpire componenti del Foro è un fatto molto grave, reputo che sia stata una scelta strategica quella di aggredire alcuni studi legali e anche qui non è stato fatto in funzione predatoria ma di modalità di pressione sulle funzioni difensive. E' stato determinante l'apporto che abbiamo avuto dal Consiglio dell'Ordine». I caso-avvocati non è stato l'unico elemento particolarmente perverso ricordato in Commissione: è stato infatti citato il danneggiamento a colpi di kalashnikov filmato in un video allegato al processo Gangemi. «Violenza inaudita».
Terribile e persino originale la modalità di approccio dei Di Silvio, che avevano un «vero e proprio tariffario sui servizi elettorali e che comprendevano anche pacchetti per alcuni candidati. Poi va detto: l'attacchinaggio non aveva solo una contropartita economica bensì indicava un tipo di rapporti, di legami, diciamo così, pubblici».
Tra le domande dei commissari quelle del senatore Mirabelli, anche su possibili interessi sul porto di Sperlonga, e del senatore Grasso sul potere della mafia a Roma.