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Il caso

Processo Satnam, un testimone: Lovato fece il gesto di stare in silenzio

Nel processo per la morte del bracciante indiano Satnam sfilano i testimoni

Processo Satnam, un testimone: Lovato fece il gesto di stare in silenzio

Frammenti di vestiti. Una cassetta di plastica nera di quelle che si usano per caricare la frutta e dentro c’è il braccio di Satnam Singh. Era a pochi centimetri dai secchi della spazzatura in via Genova a Borgo Bainsizza accanto al muro basso della casa dove viveva insieme a Soni. Quel braccio è stato tranciato da un attrezzo durante il lavoro in campagna: un apparecchio arrugginito diventato un’arma. Era senza certificazione europea ed era artigianale.


Satnam ha sofferto, aveva gli occhi chiusi, perdeva sangue dalla testa, respirava a fatica. Soni, la compagna piangeva e chiedeva aiuto, era agitata. Antonello Lovato sceso dal furgone per lasciare il bracciante agonizzante, quando è andato via - come era emerso nelle carte dell’inchiesta - ha fatto cenno a chi ha visto tutta la scena di restare in silenzio. L’indice della mano sulla bocca. Tutto questo è emerso ieri in quasi sei ore di udienza, nel processo che si sta svolgendo in Tribunale a Latina in Corte d’Assise per l’omicidio del bracciante agricolo indiano. Imputato il suo datore di lavoro Antonello Lovato.

I fatti un anno fa, il 17 giugno del 2024 a Borgo Santa Maria nell’azienda agricola dei Lovato. L’imprenditore non aveva soccorso Satnam Singh, lo aveva caricato su un furgone bianco, lasciandolo poi davanti casa. Satnam era senza contratto e senza permesso di soggiorno.


I testimoni lo hanno raccontato in aula davanti a Soni, la compagna di Satnam e per la prima volta anche ai familiari del bracciante indiano che sono arrivati dall’India: c’erano il padre, la madre, il fratello molto scossi quando sono entrati in aula.

Erano tra i banchi, nella prima fila riservata al pubblico. E’ stato naturale e istintivo chiedere dove fosse l’uomo che non ha soccorso il figlio e lo ha lasciato lì. E’ la prima volta che lo hanno visto. E’ stato un attimo: appena sono entrati lo sguardo si è spostato in diagonale, accanto alla gabbia, dove seduto vicino a suoi avvocati c’era Lovato. La madre di Satnam aveva il volto rigato dalla sofferenza. Sono entrati prima delle 10.


Tutti i testimoni ascoltati hanno risposto alle domande del pm Marina Marra a quelle delle parti civili e del collegio difensivo, ed è come se avessero scattato una foto tra i campi di quel drammatico pomeriggio. Hanno raccontato la paga per un’ora di lavoro, pari a 5 euro e 50 centesimi, hanno descritto il furgone bianco che arrivava in via Genova e infine i momenti dei soccorsi. La prima a deporre è stata una ispettrice del lavoro della Asl che aveva svolto una serie di accertamenti.

Satnam è stato ucciso da un «disco arrugginito costruito artigianalmente e che non era a norma, senza la certificazione europea e non aveva i requisiti di sicurezza». La testimone ha ricordato che quando era andata sul luogo dei fatti aveva accertato diverse irregolarità. Sono stati ascoltati con l’ausilio di un interprete altri testimoni di nazionalità indiana tra cui un giovane che ha ricordato quello che era emerso nel corso delle indagini: Lovato quando andò via dopo aver lasciato Satnam, fece il segno di stare in silenzio.

«Vidi arrivare il furgone bianco, un uomo ha preso Satnam, Soni era nel panico, piangeva, chiedeva aiuto diceva di chiamare una ambulanza, Satnam era privo di sensi». Tra gli altri testimoni ascoltati un altro bracciante agricolo che ha lavorato per dieci giorni nell’azienda dei Lovato. «Prendevo 5 euro e 50 centesimi all’ora - ha detto - ho preso duecento euro e basta, l’altra parte no». Il processo riprende il prossimo 7 ottobre quando saranno ascoltati altri testimoni della pubblica accusa.

Da poco più di un anno, era la mattina del 2 luglio del 2024, Antonello Lovato è in carcere per omicidio volontario con il dolo eventuale. Nel corso di un’udienza aveva rilasciato spontanee dichiarazioni: <non ho mai voluto la sua morte, nemmeno per un istante, non ero io>

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