Sviluppi
19.12.2025 - 09:00
Un accordo chiaro: voti in cambio di soldi e, oltre a questo, l’affidamento del servizio di attacchinaggio dei manifesti elettorali. Per la pubblica accusa, sostenuta in aula dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Francesco Gualtieri, non vi sarebbero dubbi. Alle dichiarazioni fornite dai due noti collaboratori di giustizia, Agostino Riccardo e Renato Pugliese, danno sostanza e concretezza le conversazioni captate durante l’attività di intercettazione. Una mole di elementi che hanno spinto l’accusa a sostenere che la partecipazione, l’infiltrazione del clan Di Silvio nelle campagne elettorali della provincia pontina, ed in particolare a sostegno della lista Noi con Salvini per Matteo Adinolfi, non sarebbe un “unicum”. Ma la difesa contesta tutto l’impianto accusatorio e sostiene che l’accordo di cui si parla non è provato dai fatti.
Il Pm Gualtieri vi ha fatto riferimento in dieverse occasioni. Per capire che gli elementi emersi in questa inchiesta siano il tipico modo di fare del clan Di Silvio, basta pensare ad un altro caso eclatante, quello della candidata alla carica di sindaco di Terracina - già ex consigliera regionale in quota Pdl - Gina Cetrone proprio nelle elezioni del 2016 (stesso anno delle amministrative a Latina). Insieme al marito avrebbe stretto un patto con il clan di Armando Di Silvio che, a fronte di un pagamento di 25mila euro, avrebbe garantito una visibilità enorme, un mucchio di voti e la “tranquillità” in merito ai manifesti elettorali: nessuno avrebbe toccato quelli della Cetrone perché appesi dai sodali del clan che garantiva anche l’affissione di manifesti abusivi in diverse e molteplici zone. Anche in quel caso il “delegato” del clan alla gestione di questi rapporti con la politica, sarebbe stato Agostino Riccardo.
Il dottor Gualtieri ha preso la parola alle 11 e 17. In tre ore ha ricostruito l’inchiesta che ha portato a processo i due imputati ed anche lo stesso collaboratore, Agostino Riccardo che si è auto accusato di una serie di reati per cui è stato condannato a tre mesi. Queste le richieste formulate al collegio penale presieduto dal dottore La Rosa: 8 anni per l’imprenditore dei rifiuti Raffaele Del Prete, e 6 per l’ex responsabile della campagna della lista Noi con Salvini, Emanuele Forzan (difesi dagli avvocati Michele Scognamiglio, Gaetano Marino, Massimo Frisetti e Pietro Parente).
L’accusa è voto di scambio che avrebbe permesso al candidato Matteo Adinolfi di essere il più votato della lista e che il clan avrebbe pagato intorno ai 30 euro. I soldi li avrebbe messi Del Prete. Un accordo per 50, 80 voti, per l’accusa sarebbero almeno 200.
Accordo che però le difese hanno contestato con forza: non vi sono elementi a riprova di questo accordo. Lo hanno ribadito nel pomeriggio i tre legali che hanno duramente contestato anche il tentativo del Pm di “far entrare” nel processo elementi dei brogliacci degli inquirenti che una specifica ordinanza del collegio aveva escluso. Non solo. Fortissima anche la censura dell’utilizzo di trascrizioni delle conversazioni intercettate, “condite” da deduzioni, suggestioni che poco avrebbero a che fare con la necessaria certezza degli elementi da portare in aula, dove si forma poi la prova che il collegio deve valutare.
Voti, sì, ma ad Agostino Riccardo, che per l’accusa operava per conto del capo clan Armando Di Silvio, Del Prete e Forzan avrebbero affidato anche il servizio di attacchinaggio. Servizio tipicamente e generalmente in mano alla criminalità, almeno in provincia.
Oltre al nodo delle trascrizioni, l’altro elemento fondamentale che il collegio è chiamato a valutare è la credibilità dei due collaboratori di giustizia che hanno fornito gli elementi portanti delle accuse ai due imputati. «Del Prete sosteneva con soldi in nero di provenienza sospetta la campagna elettorale di Adinolfi. Sapeva chi fosse il capo di Agostino Riccardo, il capo clan Armando Di Silvio il cui nome per timore, paura, rispetto era fatto a bassa voce. Sapeva che stava comprando voti da un clan mafioso» ha sostenuto il Pm.
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