Quella impartita dal socio privato di Acqualatina all’assemblea dei sindaci dell’Ato 4 con l’approvazione del bilancio di esercizio della spa, è una lezione che i rappresentanti dei Comuni pontini farebbero bene a tenere a mente se vogliono davvero capire quale deve essere la strada da imboccare per il perseguimento dell’interesse dei cittadini su un fronte tanto delicato come quello delle gestione di un bene primario come l’acqua.
Le alzate di voce, le levate di scudi e i propositi di un radicale rinnovamento dello scenario sul controllo della società per azioni non sono serviti granché di fronte all’organizzazione tecnico-militare del gestore, che ha dimostrato di saper dettare le regole anche da un posizione di minoranza azionaria, vuoi grazie ad una serie di paletti piantati nel corso degli anni con articoli di regolamento, clausole contrattuali e pegni finanziari che hanno finito per blindare il potere discrezionale e decisionale, vuoi a causa di una generale impreparazione tecnica dei sindaci ad affrontare le insidie di un rapporto malato col socio di minoranza che loro stessi, o i loro predecessori, hanno lasciato crescere ed attecchire. La corsa verso il controllo totale del capitale sociale di Acqualatina è un falso obiettivo, peraltro difficilmente raggiungibile da sindaci che non hanno risorse a disposizione e che vivono quotidianamente l’ansia del patto di stabilità, o peggio, lo spettro del dissesto finanziario. Davvero l’eventuale controllo del 100% delle azioni della società che gestisce il servizio idrico si tradurrebbe automaticamente in un efficientamento del servizio e in un risparmio per i cittadini? Da quello che abbiamo visto e vediamo fare dalla maggior parte dei sindaci di questa provincia, parrebbe difficile rispondere affermativamente. Intanto sono stati loro, i sindaci dell’Ato 4, a piegarsi da subito al volere dei potentati locali che hanno costruito la macchina da guerra di Acqualatina per esercitare il loro controllo sugli introiti finanziari della spa, sulla distribuzione degli incarichi nei consigli di amministrazione, sulla concessione degli appalti, sulle spese di gestione, sulle consulenze di ogni genere. Un giro vorticoso di milioni di euro venuto fuori dalle tasche dei cittadini consumatori e in parte distribuito ad aspiranti politici e politici senza poltrona, a ditte amiche e imprese politicamente certificate, a studi legali di riferimento e consulenti di fiducia. Sono stati proprio loro, i sindaci dell’Ato 4, detentori del pacchetto azionario di maggioranza della spa, a consentire tutto questo accontentandosi di qualche briciola, ovvero di ottenere qualche assunzione e l’ingaggio di una ditta per un subappalto o di un professionista per un incarico. Insomma, complici. Sindaci e partiti.
Oggi che qualcosa va cambiando nello scenario politico provinciale, la fretta e le ubriacature postelettorali vanificano i pochi spiragli che si aprono nella direzione del cambiamento.
Il 25 luglio scorso i sindaci hanno approvato un documento in cui si concedevano novanta giorni per proporre un nuovo modello di gestione dell’acqua: un obiettivo sensato, ma ci stanno davvero lavorando? Sono consapevoli del fatto che il Piano d’Ambito e il Piano degli investimenti dovrebbero essere loro a farli? Ma soprattutto, sono consapevoli di rappresentare il 51% della spa e di essere i rappresentanti della comunità che paga il servizio?
Se lo fossero davvero, saprebbero che la posizione di soci di maggioranza di un’azienda che eroga servizi impone loro di predisporre il regolamento di servizio, di esercitare il controllo sulle procedure di affidamento degli appalti, sull’esecuzione dei lavori, di elaborare il Piano d’ambito e quello degli investimenti, di imporre severe penali al gestore in caso di mancato rispetto degli obblighi e alle imprese in caso di una inadeguata esecuzione dei lavori. Insomma, la funzione della parte pubblica in una società mista dovrebbe essere quella dell’esercizio del controllo sull’attività dell’azienda. Basterebbe quello per trasformare Acqualatina nella società immaginata al momento della costituzione, un’azienda capace di offrire un servizio decoroso ai cittadini e di ottenere nel tempo un consistente risparmio di risorse e dunque l’abbassamento delle tariffe pagate dai consumatori. Serve davvero rincorrere l’idea del controllo totale sulla spa?
E i sindaci hanno a portata di mano il know how per gestire l’impresa? Si tengano in tasca, se ce l’hanno, il denaro necessario all’eventuale acquisto delle quote private e si mettano alle calcagna del gestore e facciamo davvero i cani da guardia su tutte le attività del socio privato. Sarebbe il miglior regalo per i cittadini consumatori e l’avvio concreto di una nuova fase di gestione.