A distanza di quasi due anni dall’omicidio del carrozziere Maurizio Di Raimo il caso approda in Corte d’Assise d’Appello. Il prossimo 16 marzo i giudici romani processeranno Pietro Petrianni, cognato della vittima, in primo grado condannato a trenta anni di reclusione.
Il delitto del carrozziere, secondo il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, Mara Mattioli, fu un’esecuzione studiata nei dettagli e compiuta con crudeltà. Di Raimo, 53 anni, di Latina, venne ucciso il 5 giugno 2015 nella carrozzeria che gestiva a Sezze, in via Maina, di fronte all’abitazione del cognato. Da tempo tra i due i rapporti erano tesi. Il 53enne non pagava l’affitto a Petrianni, non riuscendo a tornare in possesso del suo capannone, avrebbe più volte detto che avrebbe ucciso il carrozziere e avrebbe gettato il corpo in un pozzo lì vicino. Proprio quanto avrebbe poi fatto. Il giudice Mattioli, nelle 28 pagine con cui ha motivato la sentenza emessa l’8 aprile scorso, ha ricostruito tutte le tappe della vicenda, dalla denuncia di scomparsa di Di Raimo fatta dalla compagna alle diverse contraddizioni in cui è caduto l’imputato, dalle intercettazioni compiute in questura agli accertamenti medico-legali. Per il giudice non è credibile la versione dell’accaduto fornita alla fine dal 52enne, il quale ha sostenuto di aver litigato col cognato, che avrebbe cercato prima di accoltellarlo e poi di sparargli con una pistola, da cui però erano partiti tre colpi, nel corso della colluttazione, che avevano ucciso il carrozziere. «Del tutto carente – si legge nelle motivazioni della sentenza – la prova di un’attività aggressiva preventiva del Di Raimo», «nessun segno evidente della colluttazione», «nessun segno di colluttazione sul corpo della vittima e su quello di Petrianni». Il giudice Mattioli ha ritenuto che Petrianni si fosse recato nella carrozzeria sapendo che in quel momento il cognato era solo e che stava facendo una doccia prima di tornare a casa. A quel punto, con la porta del bagno socchiusa, avrebbe esploso un primo colpo, che si è andato a conficcare sotto al lavandino, e poi, aperta la porta, altri tre in successione, che hanno ucciso Di Raimo. Messo il cadavere su una carriola, l’imputato avrebbe nascosto quindi il corpo in un pozzo, cercando alla fine di disfarsi dell’auto della vittima, consegnandola a un demolitore ad Aprilia. Un omicidio volontario premeditato, frutto di «un programma delittuoso studiato dal Petrianni da tempo apprezzabile in misura minuziosa». E niente attenuanti viste la «particolare efferatezza, crudeltà e assoluta mancanza di umana pietà dimostrate». I difensori dell’imputato, gli avvocati Oreste Palmieri e Amleto Coronella, puntano ora a uno sconto in Corte d’Assise d’Appello a Roma.