Eâ una catena inossidabile e mai spezzata quella che dai primi anni â90 ad oggi tiene uniti tutti i fatti di cronaca più rilevanti accaduti a Latina. Lo testimoniano gli atti dei processi, le sentenze e i faldoni delle ultimissime inchieste sulla criminalità  locale.
Archiviata la stagione dei gruppi dediti alle rapine che tra il 1992 e il 1993 avevano contrassegnato un momento molto significativo nellâevoluzione della criminalità  pontina mettendo a segno una serie di colpi miliardari, gli anni immediatamente seguenti avevano proposto nuove modalità di intervento della criminalità nel tessuto socio-economico del territorio, una sorta di inserimento letale allâinterno del sistema comunitario locale veicolato da reati quali l' usura e le estorsioni, da subito apparsi come strumenti per il reperimento di fondi da destinare ai grandi traffici di sostanze stupefacenti, in particolare la cocaina, di gran lunga lâattività più remunerativa nel breve periodo.
Eâ in quella precisa fase storica che la criminalità pontina assume, forse per la prima volta, una veste paraimprenditoriale, scegliendo di operare per quanto possibile nellâombra, accantonando le azioni clamorose e riducendo la propria visibilità , limitandola ai momenti di guerra interna, agli omicidi «endogeni» provocati dalle scosse di aggiustamento degli equilibri interni al crimine. Quel cambio di mentalità è stato il punto di partenza di una nuova stagione che ha visto i criminali più rappresentativi impegnati nello sforzo di darsi una nuova veste per poter meglio reinvestire il frutto delle loro attività illecite, pur senza mai perdere quel potere di intimidazione che gli derivava dallâessere stati «altro».Â
Mai davvero fermati, mai abbastanza considerati dalle procure e dalle forze di polizia, i «nuovi criminali» hanno potuto cambiare pelle fino a diventare punto di riferimento per alcune parti della società civile e imprenditoriale, quelle più deboli sotto il profilo etico, assumendo un ruolo di vero e proprio traino per le economie malate del territorio. Così, se da un lato assistiamo da ventâanni al perpetuarsi delle solite figure chiave ai vertici del crimine più o meno organizzato, dallâaltro constatiamo lâaderenza di quelle stesse figure a spezzoni della società  civile, a parte del mondo imprenditoriale, a espressioni della politica locale.Â
La crisi economica fa il resto, insieme alla chiusura dei rubinetti del credito da parte delle banche. Ecco il predominio dei Ciarelli e dei Di Silvio, ecco le società e le imprese dei Tuma, ecco i contatti e le «mediazioni» dei Cha Cha, ecco i rapporti dei politici con i pregiudicati, ecco spuntare figure ambigue e trasversali come quelle dei Natan Altomare. Il futuro della città ? Mai stato così incerto. Negli ultimi quattro lustri è mancata una diga capace di ostacolare e respingere il rinnovamento della criminalità e i suoi tentativi riusciti di introdursi nel tessuto connettivo della società e dellâeconomia locale, complici le disattenzioni delle amministrazione comunali che si sono susseguite, fin troppo disponibili a consentire lâaffermazione di new entry opache attraverso la concessione di appalti e servizi e senza badare troppo ai retroscena dellâurbanistica, delle aree edificabili e delle varianti di Piano.
Credere di poter lasciare alle sole forze di polizia il compito di arginare il dilagante sviluppo dei sistemi criminali e il loro inserimento nelle dinamiche produttive della città è pura utopia, condita da una buona dose di malafede. Senza il muro della società civile e della politica che la rappresenta non câè Procura né divisa che possa aiutarci a cambiare strada ed avviarci verso nuovi orizzonti di sviluppo, culturali ed etici prima ancora che economici.