Grazie a Dio è quasi finita, ancora poche ore e potremo finalmente archiviare questa deprimente esperienza delle ultime primarie del Partito Democratico, una delle performance politiche più brutte che ci sia capitato di accompagnare tra una cronaca e l'altra. Doveva essere un confronto capace di mostrare all'elettorato quanto aperta e libera fosse la prateria del PD, un partito capace di mettersi in discussione e così solido da potersi permettere di infilare un outsider nella competizione contro un uomo di apparato, un politico di lungo corso e consigliere regionale. Invece è stato uno scontro aperto, senza esclusione di colpi e fallacci, che i due aspiranti sindaco hanno affrontato cercando qua e là di servirsi delle sponde mediatiche, con l'obiettivo primario, questo sì, di demolire l'avversario. L'impressione che abbiamo ricavato da questo confronto mai troppo aperto, mai troppo duro, mai troppo franco, sempre così poco vero e poco aderente alle aspettative dell'elettorato, è che i due candidati Forte e Galante abbiano finito per autodemolirsi nella rincorsa per cercare di essere l'uno più visibile e credibile dell'altro. Quello che è mancato davvero, è stata un'analisi corretta sui profili dei candidati e soprattutto sulle intenzioni del partito, che in fondo erano i versanti su cui chiamare ad esprimersi l'elettorato del centrosinistra e qualche spezzone di scontenti moderati. In ballo c'è il primato della politica rappresentato da Enrico Forte, sulla società civile di cui Paolo Galante è espressione, ma il PD non ha presentato le primarie su questo profilo, il partito non ha detto . Come al solito, anche stavolta è nato tutto quasi per caso, con una stretta di mano a tre poi subito ridotta a due e con il ripensamento di uno che da sostenitore si è trasformato in competitore. In quel momento il partito non ha avuto la capacità di gestire la situazione: i segretari del PD avrebbero dovuto prendere atto della impossibilità di riappacificare le due anime del partito incarnate da Moscardelli e Forte, e avrebbero dovuto avere la prontezza di trasformare in un punto di forza il momento di debolezza rappresentato dal fallimento dell'accordo tra i due leader costruito attorno alla figura di Galante e finito nel giro di 24 ore. Sarebbe stato sufficiente dire che per meglio rappresentare la natura eterogenea e la composizione del PD si sarebbero messe a confronto la linea della continuità della politica e quella della massima apertura alla società civile. Ma nel PD non c'è una segreteria capace di sovrastare le bizze dei due leader del partito, nemmeno quelle di uno soltanto, e quindi le primarie hanno preso il via sotto le insegne della confusione, della divisione, dello scontro personale tra due persone prima ancora che tra due rappresentanti di un partito, perdendo così la loro caratteristica di valore aggiunto sul piano della democrazia, della condivisione e dell'apertura verso la base elettorale chiamata a pronunciarsi e a dare l'indirizzo verso cui muovere. Sono mancati il disegno, la strategia, il tessuto connettivo che già a partire da domani mattina, all'esito del voto delle primarie, dovrebbe consentire a tutto il PD di marciare unito verso l'obiettivo della conquista di Piazza del Popolo. Vedere Galante sostenuto dalla parte più rappresentativa di una nomenklatura politica d'antan, superata e oggi improponibile, è uno spettacolo che disorienta gli elettori che guardano con curiosità all'ingresso della società civile nelle stanze della politica. Così come non è esaltante né motivo di sicurezza dover constatare che Enrico Forte, piuttosto orientato a cercare di essere più smart del leggerissimo avversario, non abbia saputo rivendicare con forza il proprio ruolo dentro la politica come garanzia per una guida sicura  e affidabile della città. Così, visto che attraverso queste primarie gli elettori non hanno avuto la possibilità di <incontrare> il partito che avrebbero voluto, nuovo, diverso, rampante e solare, affidabile e convincente, i numeri che verranno fuori stasera dalle urne, oltre che decidere chi sarà il candidato sindaco del PD, saranno quelli di un improvvisato mini congresso. E quei numeri, anziché essere semplicemente la cifra della volontà della base del centrosinistra, serviranno ad alimentare la guerra già in atto nel partito, una guerra che queste primarie non hanno saputo superare. Se dovesse vincere Forte, la sua sarebbe una vittoria che va oltre il confronto con Galante, e che segnerebbe l'inizio di una fase difficile per Claudio Moscardelli. Se invece a vincere dovesse essere Galante, la componente moscardelliana ne uscirebbe rafforzata e sarebbe Enrico Forte a diversi attrezzare per capire quale potrebbe essere il suo futuro dentro il PD pontino. Nell'uno o nell'altro caso, il fuoco del dissidio sarà riattizzato, e al di là delle promesse scontate e di circostanza, la ragione di partito non prevarrà sugli interessi e le beghe personali che dividono Forte e Moscardelli. E dunque, se fino al giorno prima delle primarie un po' tutti avrebbero scommesso su una vittoria del PD alle prossime amministrative di Latina, adesso la scommessa si fa un tantino più azzardata. Col rischio che il PD vada ad inciampare sulla spianata che dovrebbe portarlo alla guida del capoluogo.