Quattro colpi di pistola in pieno giorno e nella piazza principale di una città come Aprilia non possono essere soltanto una minaccia o un avvertimento contro il funzionario comunale proprietario dell’automobile bersaglio degli spari. Chi ha assoldato due balordi per compiere un’azione tanto sfacciata e diretta doveva avere in mente qualcosa di più che intimidire un impiegato. E c’è riuscito.
La portata dell’azione messa a segno l’altro ieri da due sconosciuti in sella ad uno scooter travalica i confini della cosiddetta microcriminalità e si pone ad un livello superiore. Gli investigatori sembrano concordi nel ritenere che i due esecutori della sparatoria siano stati assoldati da un mandante, il che pone un immediato quesito: chi si scomoda per incaricare due balordi di sparare alle 14 del pomeriggio contro un’auto in sosta sotto il palazzo comunale? Non un povero diavolo che ritiene di aver subito un torto dall’amministrazione o da un suo funzionario, e nemmeno un imprenditore normale e abituato a rispondere con le carte bollate e con un avvocato ai provvedimenti sgraditi di un’amministrazione. Chi ha commissionato quell’azione è qualcuno che non ammette codici di comportamento diversi dal suo; qualcuno che si sente un gradino più su rispetto alle persone degli ambienti che frequenta, compresi quelli istituzionali.

Questo qualcuno deve necessariamente avere qualcosa a che fare con le attività dell’amministrazione comunale di Aprilia, e piccolo o grande che sia, è a suo modo un imprenditore o il detentore di un interesse forte legato ad una qualche attività dell’ente municipale, vero bersaglio dell’intimidazione di venerdì. Allo stesso tempo, quel qualcuno vive la città come ogni altro cittadino, è inserito in un contesto sociale e come tutti intrattiene relazioni col prossimo nel quartiere di residenza, nell’ambiente di lavoro e chissà dove altro ancora. E’ il ritratto di un comune cittadino di una qualsiasi città della nostra provincia, e quello che pesa davvero in questa storia degli spari di Piazza dei Bersaglieri, è proprio l’eventualità che tutto ruoti attorno alla figura di un cosiddetto normale cittadino, piuttosto che nell’orbita di questa o quella famiglia bollata con l’etichetta della provenienza paramafiosa.
Mentre prefetti e questori sfilano davanti ai parlamentari della Commissione Antimafia per ragguagliarli sui fatti di cosa nostra in casa nostra, il grosso della società pontina, da Aprilia a Minturno, forte del marchio di appartenenza locale e libera dalle facili catalogazioni interpreta a pieno titolo ruoli e atteggiamenti che siamo abituati ad attribuire ad «altri» che in genere consideriamo altro da noi.
Dopo aver sottovalutato per anni la portata delle presenze «pericolose» sul nostro territorio, nel tentativo di recuperare il terreno perduto corriamo adesso il rischio di perdere di vista il nostro stesso profilo sociale e le profonde trasformazioni che ci hanno portato ad essere quello che siamo, e che forse non sappiamo ancora di essere. Una comunità senza cultura e senza valori, una gomorra in salsa pontina tanto più pericolosa quanto più priva di schemi e codici consolidati.
A Minturno si spara in continuazione; a Cisterna si cerca di eliminare un investigatore scomodo; a Latina i banditi fanno la spesa gratis nelle boutiques mentre a Sperlonga si costruisce un nuovo paese in barba a tutte le regole dell’urbanistica; a Sabaudia come a Terracina e nel capoluogo saltano i sindaci che non sono organici ai poteri diversi dal loro. I metodi di tutte queste condotte sono quelli mutuati dalla cultura mafiosa, o camorrista, che è lo stesso, ma a porre in essere queste condotte siamo noi. E la vera mafia da combattere su questo territorio non è soltanto quella con la coppola o quella col doppiopetto gessato. Non hanno granché da insegnarci di nuovo o inedito. Col sostegno insostituibile di una classe politica miope e predona, incapace di progettare e di guardare al futuro, abbiamo imparato a muoverci da soli dentro i nostri abiti da sartoria e con le Church’s ai piedi in direzione dei nostri interessi particolari e immediati. Gli affari veri si gestiscono dai migliori studi professionali resi servili a colpi di incarichi, e quelli che da fuori osservano e capiscono, quelli che «vorrei ma non posso», si fanno largo a modo loro, non esitando ad ingaggiare due marginali per mandarli a dare un segnale in piazza. Forse è arrivato il momento di cominciare a parlare di nuova mafia, e di guardarci allo specchio. Da Aprilia fino a Minturno, passando per Latina, lungo l’asse di un territorio speciale che sta esibendo un nuovo modo di difendersi dalle insidie mafiose: quello di farsi mafia a sua volta. Pionieri fino in fondo. Che è forse la lezione che ci hanno regalato vicende come la corruzione attorno ai fallimenti e la melassa indistinta e appiccicosa dell’operazione Don’t touch.