Un piccolo figlio della nostra Terra pontina gli avrebbe voluto regalare addirittura un pallone nuovo e, invece, qualcuno, senza motivo, ha pensato bene di cacciarli dal campo, offendendoli a più riprese. Una storia, ahinoi, come tante altre: molto triste.  Ancor più se pensiamo che di mezzo c'era un prato verde, un campo dove giocare, un pallone di pezza mal ridotto ma, comunque, prezioso per loro e, soprattutto, la felicità di giovani indiani, pronti a regalarsi un sogno, lontano dalla fatica quotidiana dei loro genitori, genoflessi sulla terra poco distante da quel campo, ma pronti, con pochi spiccioli in tasca, a regalare un qualcosa di vero ai loro figli.
L'educazione, innanzitutto, di non replicare alle accuse di chi li ha cacciati offendendoli, di prendere il loro pallone, le loro cose e con gli occhi lucidi, andar via a capo chino da quel campo.
E' successo a Sabaudia, non dall'altra parte del mondo. L'episodio ce l'hanno segnalato. In maniera semplice, raccontando di un momento che poteva essere di gioia per un gruppo di ragazzi indiani e che, invece, ha finito per tramutarsi nell'ennesimo atto di razzismo, nulla a che vedere con lo sport e con la voglia di vivere tirando calci ad un pallone mal ridotto, ma come dicevamo prezioso quanto basta, di un gruppo di ragazzi colpevoli, pensate un po', di essere soltanto indiani.
Sui fatti accaduti martedì pomeriggio, in un campo di calcio che i ragazzi di Sabaudia identificano, da sempre, come quello della zona nord, avremmo voluto tanto aggrapparci solo alla stretta cronaca dei fatti, schifati per quanto accaduto, ma le parole pronunciate nel pomeriggio di mercoledì da Papa Francesco nell'Aula Paolo VI in Vaticano, nel corso della cerimonia inaugurale del primo incontro mondiale su sport e fede, ci hanno indotto a sposare in toto la causa di questi ragazzi indiani e a condannare con più forza il gesto di un signore, magari il proprietario del campo (ma non può e non deve, a nostro avviso, essere una scusante), capace di compiere, davanti a mamme e bambini, un gesto a dir poco inqualificabile: «Lo sport deve essere di tutti, non solo di chi può permetterselo ed è facilitato nell'arrivare a grandi livelli», le parole del Pontefice. Le abbiamo fatte nostre, provando a tramandarle per far capire al signore di Sabaudia, magari proprietario di quel campo di calcio nella zona nord di Sabaudia, che ora sarebbe opportuno, quantomeno, chiedere scusa e, la prossima volta, semmai ce ne sarà un’altra, permettere a questi ragazzi non solo di giocare, ma di farlo con un pallone nuovo.
Anche perchè chi ci ha raccontato dell'accaduto, anzi chi lo ha condiviso con il mondo di Facebook, ha parlato di un trattamento nei confronti di questi giovani, che nemmeno gli animali, con tutto il rispetto per ogni singola specie, avrebbero meritato.
Parliamo di ragazzi che non possono permettersi di frequentare una Scuola Calcio o di comprarsi una tuta, piuttosto che una maglietta, un pantaloncino o un paio di scarpette, anche perchè i loro genitori, nel più dei casi sfruttati nei nostri campi, fanno fatica a sfamarli.
E questo signore che ha fatto? Invece di abbracciarli e regalar loro un divertimento, ha pensato bene di cacciarli da quel campo, nemmeno fossero delinquenti. Storie di razzismo, di ordinaria follia. Storie tristi con di mezzo un pallone spelacchiato, un campo di calcio e la felicità soffocata sul nascere di un gruppo di giovani indiani. Colpevoli soltanto di voler giocare al calcio.