Ventidue imputati. Condanne per oltre due secoli di carcere. E soprattutto un’ipotesi di quelle pesanti: le famiglie di origine nomade unite a Latina e costituite in associazione per delinquere. Sono questi i tratti salienti del processo «Caronte», che si avvia ora allo snodo fondamentale, quello della Cassazione, che affronterà il procedimento il prossimo 25 gennaio. Tra due mesi si saprà così se la sentenza diventerà definitiva e dunque se per la prima volta i rom potranno essere definitivamente ritenuti una vera e propria organizzazione criminale. Secondo gli inquirenti i Di Silvio e i Ciarelli, i primi mettendo sul piatto la potenza militare e i secondi quella economica, avevano dato vita nel capoluogo pontino a un’associazione per delinquere, finalizzata a monopolizzare gli affari criminali e pronta anche a uccidere se necessario. Una tesi portata avanti alla luce delle indagini successive alla cosiddetta guerra criminale tra rom e non rom, esplosa a Latina nel gennaio 2010, quando a Pantanaccio subì un attentato Carmine Ciarelli, a cui seguirono subito gli omicidi di Massimiliano Moro e Fabio Buonamano, e che è stata confermata anche dalla Corte d’Appello di Roma, con condanne per un totale di 214 anni e tre mesi di reclusione a carico di 22 imputati.

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