Tutto tace nella casa azzurra orfana del coordinatore provinciale finito in carcere con l’accusa di associazione per delinquere.
Se qualcuno si aspettava che Giuseppe Di Rubbo si autosospendesse dall’incarico politico all’indomani dell’arresto è rimasto deluso. Il coordinatore di Forza Italia avrebbe potuto farlo affidandosi al proprio legale di fiducia, ma evidentemente la convinzione di essere completamente estraneo ai fatti che gli vengono contestati è più forte degli indizi a suo carico raccolti dai carabinieri in due anni di indagini. Ma in ballo non c’è la valutazione sul peso delle ragioni dell’accusa e quelle della difesa, molto più semplicemente siamo di fronte ad una questione di carattere squisitamente politico: Di Rubbo dovrebbe autosospendersi per tutelare i suoi compagni di partito, quelli che hanno agito nel rispetto della legge e che oggi scontano il danno di immagine derivante dalla bufera giudiziaria che ha visto coinvolte figure importanti del partito.
Ma Di Rubbo non molla, e avrebbe già fatto sapere di non avere alcuna intenzione di farsi da parte. E’ molto probabile che un passo indietro suonerebbe, per lui, come un’ammissione di colpa. In realtà sarebbe soltanto un gesto di eleganza e di buonsenso.
Quello che appare curioso, anche irrituale, è invece il fatto che a quindici giorni di distanza dalla misura adottata nei confronti del coordinatore provinciale del partito, Forza Italia non abbia avvertito l’esigenza di tutelare la propria immagine con una iniziativa d’imperio: se Di Rubbo non ci sente, è il partito che si fa sentire. Invece niente, anche su quel versante. Gli azzurri sono tutti d’accordo e tutti solidali con il coordinatore incappato nei rigori della giustizia? Non è così. I mugugni si raccolgono dovunque, ma Forza Italia non ha gli strumenti statutari per agire, e forse nemmeno il carattere per reagire.
O meglio, l’unico che potrebbe fare qualcosa, cioè sospendere temporaneamente Di Rubbo dal partito, è lo stesso che lo ha nominato coordinatore provinciale: il senatore Claudio Fazzone, coordinatore regionale di Forza Italia.
Il garantismo di Fazzone è proverbiale, ma il suo dovere politico sarebbe quello di garantire l’onorabilità dell’intero partito prima ancora che Di Rubbo.
Adesso è chiaro perché l’opposizione non ha fiatato di fronte al recalcitrante Mansutti che non voleva saperne di abbandonare la carica di Presidente del Partito democratico. Lì mezzo partito si è mosso ed ha ottenuto il risultato; nella casa azzurra invece stanno tutti fermi e tutti zitti.