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Il fatto
Si erano rivolti ai Di Silvio per avere la meglio in una disputa con l’affittuario del loro locale, ma i rom al momento di creare il clima di intimidazione commissionato hanno finito per prendere in mano la situazione, ne hanno approfittato per imporre la loro legge e pretendere dalla vittima quindicimila euro, una sorta di risarcimento per il “disturbo”. La risposta della polizia, ancora una volta, non si è fatta attendere: all’alba di ieri gli investigatori della quarta sezione della Squadra Mobile hanno arrestato due giovani esponenti del sodalizio di origine nomade, i fratelli Ferdinando Pupetto e Samuele di 27 e 26 anni, ma anche i due fiancheggiatori che li spalleggiavano nell’azione criminale, vale a dire il 29enne Renato Pugliese - figlio di Costantino Di Silvio detto Cha Cha già arrestato un anno fa con l’accusa di capeggiare l’organizzazione criminale sgominata con l’inchiesta Don’t touch - e il suo “braccio destro” Agostino Riccardo di 33 anni, già detenuto per una vecchia condanna.

«Sono quello che ha sparato a Zof»
«Ma tu lo sai chi sono io?....io sono quello che ha sparato a Zof». Per acclarare la sua potenza criminale Ferdinando Di Silvio, detto Pupetto, pronuncia questa frase nel colloquio con D.M.. Ed era il suo modo per convincerlo a ritirare la querela per diffamazione presentata contro la proprietaria del ristorante preso in affitto dall’uomo. In effetti Ferdinando Pupetto è stato condannato (con sentenza divenuta definitiva) per l’agguato in danno di Alessandro Zof, reato contestatogli al momento del primo arresto avvenuto l’otto aprile del 2010 in seguito agli accertamenti per il ferimento che si era verificato il giorno precedente in via Galvaligi. Zof stava per entrare in una palazzina popolare: qualcuno lo aspettava nascosto dietro una colonna ed aveva sparato prima di darsi poi alla fuga a bordo di uno scooter sul quale c’era un complice che lo aspettava.

Renato, figura trasversale
La presenza di Renato Pugliese al fianco del clan Di Silvio, e in particolare nell’orbita della famiglia di Armando detto Lallà, non è una circostanza poi troppo scontata. La sua infatti è una figura trasversale, ancora tutta da interpretare. Il ventinovenne è figlio di Costantino Di Silvio detto Cha Cha, ma è bene ricordare che quest’ultimo, come dimostrato con l’inchiesta Don’t touch conclusa un anno fa, seppure venisse riconosciuto unanimemente negli ambienti della criminalità come un personaggio di riferimento, era però a capo di un sodalizio criminale indipendente rispetto al granitico clan dal quale si era svincolato in giovane età. In quel sodalizio il braccio armato era capeggiato dai figli di una cugina di Cha Cha (anche lei svincolata dalle regole dei nomadi), ossia i fratelli Travali che Renato ha frequentato fino agli arresti dell’inchiesta Don’t touch tanto da essere indagato anche lui. E questo è un particolare non trascurabile perché se è vero che Pugliese, prima di fare il salto di qualità al fianco di Massimo Moro (ucciso durante la guerra criminale del 2010), i primissimi passi negli ambienti della criminalità li aveva compiuti insieme ai Di Silvio figli di Armando, è altrettanto vero che tra questi ultimi e i Travali non è mai corso buon sangue.

Spuntano altri intrecci tra malavita e stadio
Motivando la sentenza emessa al termine del processo «Don’t touch», il Tribunale di Latina ha sostenuto che l’associazione per delinquere capeggiata da Costantino Cha Cha Di Silvio aveva una «forma di interesse per la squadra di calcio» e che tale aspetto «era a sicura conoscenza dei tifosi, che si preoccupavano di come comportarsi con i giocatori », perché gli stessi «erano protetti dagli zingari». Un’organizzazione criminale che sarebbe arrivata a dettare legge allo stadio. E ultimamente non c’è indagine a Latina in cui non emergano intrecci tra stadio e malavita.

Alla ricerca del lusso per legittimarsi
Nel giro di un paio di anni sono tornati in libertà sia Armando Lallà Di Silvio che i figli Samuele e Ferdinando Pupetto (dietro le sbarre resta solo Giuseppe Pasquale) e una delle famiglie più agguerrite del clan rom di Campo Boario si è velocemente riorganizzata per riprendersi quel ruolo di primo piano nel panorama criminale latinense che le inchieste avviate dalla polizia dopo la guerra criminale del 2010 aveva negato.
A testimoniare ambizioni e successi della famiglia di via Muzio Scevola è lo stile di vita che conduceva: giusto un mese prima degli arresti di ieri, nell’ambito delle attività di prevenzione disposte dal Questore Giuseppe De Matteis, era scattato il sequestro dei veicoli, alcuni di lusso, acquistati dai Di Silvio nonostante la totale assenza di redditi. Armando e figli potevano permettersi infatti due Mercedes Gla e Cla, acquistate usate, ma con poche migliaia di chilometri e immatricolate da una manciata di mesi, finite sotto chiave insieme a una Smart Fortwo e una moto Kawasaki ER6N che, secondo le stime della polizia, sono costate loro una somma vicina ai centocinquantamila euro.

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