Il  personale della Squadra Mobile ha tratto in arresto  Giuseppe Di Silvio in esecuzione di ordinanza di carcerazione per omicidio.

Sono trascorsi ben sette anni ma alla fine la verità giudiziaria sull’omicidio di Fabio Buonamano è arrivata. A uccidere «Bistecca» sono stati sia Costantino «Patatone» Di Silvio che Giuseppe «Romolo» Di Silvio. Per quest’ultimo ieri si è pronunciata la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso e rendendo così definitiva la condanna a 25 anni di reclusione. Una decisione che spalanca nuovamente per «Romolo» le porte del carcere.

Buonamano, detto «Bistecca», venne ucciso a Latina, in via Monte Lupone, il 26 gennaio 2010. Per quel delitto, dal movente rimasto sempre indefinito, vennero arrestati Costantino «Patatone» Di Silvio, poi condannato in via definitiva a 20 anni di reclusione, e lo zio «Romolo». Quest’ultimo, la cui presenza sul luogo del delitto è stata sempre esclusa dal nipote, venne condannato dalla Corte d’Assise del Tribunale di Latina a 30 anni di reclusione, ma venne assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma. Un’assoluzione però poi annullata dalla Cassazione, che dispose un nuovo processo di secondo grado, conclusosi questa volta con una condanna a 25 anni di reclusione. Sull’omicidio di Buonamano vennero ipotizzati più moventi, dalla voglia di «Patatone» di vendicare la morte del padre Ferdinando, saltato in aria mentre accendeva l’auto a Capoportiere nel 2003, secondo il giovane un delitto compiuto da un gruppo criminale a cui era legato «Bistecca», alla risposta dei Ciarelli al grave ferimento di Carmine, avvenuto il giorno prima a Pantanaccio, oltre a un litigio, come sempre sostenuto da Costantino Di Silvio, per un problema di denaro, poi degenerato. Movente su cui non è mai stata fatta reale chiarezza. «Ritenere – aveva sostenuto la Suprema Corte annullando l’assoluzione di «Romolo» – in qualche modo utilizzabile una dichiarazione che ricostruisce il delitto cancellando una delle tre persone presenti, è operazione sterile e foriera di valutazione falsata e comunque lacunosa». Gli ermellini avevano inoltre sostenuto essere equivalenti le posizioni di «Patatone» e «Romolo», mancando per entrambi la prova oggettiva di aver materialmente sparato, ma esistendo quelle che erano vicini agli spari, che sono subito fuggiti dopo il delitto, rendendosi latitanti, che le loro auto sono state fatte trovare agli investigatori perfettamente pulite, tanto all’interno quanto all’esterno, e che entrambi erano coinvolti nelle attività illecite del gruppo di cui facevano parte. Nel secondo processo d’appello era così arrivata la condanna a un quarto di secolo di reclusione, impugnata nuovamente dalla difesa di Giuseppe Di Silvio. Discusso il processo in Cassazione, il procuratore generale aveva quindi chiesto la conferma della sentenza d’appello, mentre gli avvocati Luca Amedeo Melegari e Naso avevano posto una serie di problemi, insistendo soprattutto sul particolare che il provvedimento impugnato non chiariva cosa esattamente avrebbe fatto «Romolo» in via Monte Lupone, se il suo fosse un concorso materiale o morale. Una discussione articolata al punto tale che, dopo ben nove ore di camera di consiglio, gli ermellini erano usciti solo con un’ordinanza, specificando che, nonostante fosse stata fatta la discussione, erano necessari degli approfondimenti. Era stata quindi fissata un’altra udienza e ieri è arrivata la decisione. Gli assassini di Buonamano sono stati due. Nipote e zio.