Una terra in cui fanno affari le mafie tradizionali, che arrivano anche a federarsi, quelle straniere e i gruppi criminali locali. Un’area dove, da Nord a Sud, scorrono fiumi di droga, sono frequenti le estorsioni e i prestiti usurai. Ma anche una porzione del Lazio in cui l’economia viene inquinata dai clan e dove quest’ultimi sono passati dalla lupara al doppiopetto, arrivando a insinuarsi nelle pubbliche amministrazioni, ottenendo così in maniera illecita appalti e concessioni. Questa la fotografia aggiornata sullo stato del crimine in provincia di Latina, presentata alla Camera dal ministro dell’interno, Marco Minniti, nella relazione sulle attività delle forze di polizia, lo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e della criminalità organizzata.
Un’analisi, quella del Viminale, compiuta in base ai dati raccolti dagli investigatori nel 2015 e sviluppati. Il Lazio, «per la sua posizione geografica, la realtà economica, e la presenza della capitale», viene così definito «un territorio permanentemente esposto alla penetrazione criminale, tanto della criminalità organizzata mafiosa quanto di quella straniera». Una regione in cui non vi è un controllo sistematico del territorio, ma che rappresenta un «crocevia imprescindindibile per le organizzazioni di matrice mafiosa», con la ‘ndrangheta e cosa nostra impegnate soprattutto nel riciclaggio e la camorra nel supporto ai latitanti. Un’area in cui sono sempre più frequenti anche nuove alleanze di «intermafiosità» tra gruppi criminali di diversa provenienza, che soprattutto nel narcotraffico hanno visto unirsi camorra e ‘ndrangheta e camorra e cosa nostra.
Per quanto riguarda la provincia di Latina, il ministro Minniti sostiene che risente sensibilmente dell’influenza del clan camorristici della vicina Campania. Un’area dove i mafiosi sono giunti negli anni ‘60-‘70, perché mandati in tale zona al soggiorno obbligato, e da cui non si sono più allontanati. Risultano così radicati, oltre ai sodalizi riconducibili ai Casalesi, frangia Bardellino e Schiavone, anche attraverso «proiezioni locali» quali le famiglie autoctone D’Alterio-Peppe», i Mallardo, i Cava-Di Lauro Del Vecchjio, i Dell’Aquila e i Raso-Albanese-Gallace. Confermate poi le presenze di affiliati alle ‘ndrine reggine, con i Bellocco-Pesce-Cacciolla e i Tripodo, senza contare le attività delle famiglie rom Ciarelli e Di Silvio, dedite all’usura e alle estorsioni, e le nuove aggregazioni criminali straniere, in particolare albanesi, romene, nigeriane, sudamericane e maghrebine, dedite al traffico di esseri umani, al traffico di sostanze stupefacenti e alla prostituzione.
Più nello specifico: ad Anzio e Nettuno operative le ‘ndrine dei Farao-Marincola, Mollica-Morabito e Gallace Novella, che si avvalgono della collaborazione delle famiglie autoctone Romagnoli e Andreacchio. A Latina, oltre ai rom, in attività il clan camorristico Di Lauro e la ‘ndrina Barbaro di Platì. Ad Aprilia in azione elementi collegati alle ‘ndrine Gallace e Gangemi, gli Alvaro di Sinopoli, elementi continui ai Casalesi con gliSchiavone-Noviello, e il clan Barra. Nel sud pontino i Casalesi, i Bardellino, i Pianese, i Venosa, gli Ascione, i Moccia, i Mallardo, il clan Cava-Del Vecchio Di Lauro, La Torre, Esposito, Pecoraro-Menna e Mariano. E a Terracina presenti la ‘ndarngheta reggina, la camorra con il clan Licciardi e gli Scissionisti di Scampia.