Non c’è davvero bisogno di scomodare le indagini commissionate dai giornali economici per avere un’idea di chi siamo e come viviamo. Nessuno meglio dei residenti di un territorio può avere il polso della situazione su quanto accade quotidianamente attorno a loro, su quali siano i problemi che si scontano e da dove traggano origine, su quali siano le prospettive per il futuro prossimo. Le province di Frosinone e Latina non fanno eccezione a questa regola, ed hanno imparato da tempo a sopportare con spirito di rassegnazione la poco invidiabile collocazione nella graduatoria della qualità della vita nei capoluoghi italiani. Poco importa che il Sole 24 ore ci assegni un posto migliore o peggiore di quanto non faccia Italia Oggi, o viceversa; non serve a molto scoprire di essersela cavata sul fronte della sanità piuttosto che su quello del tempo libero: non sono i numeri a farci male, quanto piuttosto l’abitudine ad essere fanalini di coda in un Paese che abbiamo contribuito, forse anche più di altri, a far risorgere dalle rovine di una guerra e far decollare rendendo possibile la trasformazione di due terre a vocazione agricola e zootecnica in altrettanti bacini industriali che hanno rappresentato il riscatto del mezzogiorno d’Italia.
Ne abbiamo avuto conferma soltanto qualche giorno fa, quando un’altra indagine, tutta economica, ha messo le province di Latina e Frosinone sul piedistallo del volano nazionale ed europeo del settore farmaceutico. E non è soltanto merito delle multinazionali che hanno deciso di restare anziché abbandonare il campo come troppi altri hanno fatto negli ultimi anni, perché se sono rimaste, è anche grazie al lavoro delle nostre genti, affidabili e competenti come poche altre.
Cosa è dunque a tenerci lontani da altri primati positivi e a farci dimenticare, una classifica dopo l’altra, di essere territori speciali, di eccellenza, abitati da gente sana e pronta a qualsiasi sfida? Probabilmente quello che Frosinone e Latina scontano è un profondo deficit di rappresentanza, il vuoto di una classe dirigente che ha smarrito il senso della misura e lo spirito di servizio. Una classe dirigente che non ha saputo ancora cogliere la prospettiva per guardare a queste due province come ad un unico territorio vincente; che non ha saputo individuare nelle specificità e nelle differenze il punto di forza su cui giocare sfide importanti; che non ha capito che su questi due territori si può fare affidamento sulla forza e sull’intelligenza di due popolazioni che insieme riescono a rappresentare il meglio delle qualità umane che il Paese offre.