Il ribaltone di Coletta, partito da uno svantaggio di 13 punti percentuali rispetto al diretto avversario al primo turno e finito con un vantaggio di 10 punti percentuali su Zaccheo al ballottaggio, si presta a molteplici chiavi di lettura, la prima delle quali sta tutta nella debolezza del centrodestra che non ha saputo capitalizzare il 53% dei consensi raccolti quindici giorni fa, e nemmeno recuperare il gap registrato tra quella prestazione e il 48% ottenuto dal candidato sindaco, gap imputato al voto di scambio.

Dai numeri venuti fuori ieri dalle urne, c'è qualcosa di più del voto di scambio ad aver pesato sulla sonora sconfitta di Vincenzo Zaccheo: quanti dei voti che lo avevano portato a ridosso di un'affermazione al primo turno sono attribuibili soltanto ai candidati del centrodestra? Tradotto, quanti elettori di centrodestra al primo turno non hanno barrato il nome di Zaccheo limitandosi a indicare sulla scheda elettorale soltanto il nome del consigliere di riferimento? Non aver «letto» quel dato ha probabilmente indotto i grandi elettori moderati a bearsi di una percentuale «sicura» e dormire sonni tranquilli mentre la squadra di Coletta batteva palmo a palmo il territorio in cerca di recuperare lo svantaggio. E c'è anche da scommettere che al «fuoco amico» del primo turno, ieri e l'altro ieri si sia aggiunta, manifestandosi in tutta la sua portata, la debolezza della candidatura di Vincenzo Zaccheo, arrivata tardissimo e mal digerita non soltanto da una quota importante dell'elettorato moderato, ma anche da una parte significativa dei maggiori candidati dei partiti della coalizione di centrodestra. Tutto questo, cioè la sconfitta impartita da Coletta a Zaccheo, non si può ascrivere soltanto alla debolezza del perdente, soprattutto perché la candidatura di Vincenzo Zaccheo, che ha portato alla coalizione il 10% dei consensi complessivamente espressi al primo turno, è stata presa a prestito dai tre partiti Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia, come la migliore delle soluzioni praticabili per affrontare il voto delle amministrative a Latina. In realtà, i vertici dei tre partiti erano ben consapevoli del rischio che avrebbero corso, ma nessuno, da Calandrini a Fazzone e Durigon, si è preso la responsabilità di puntare i piedi e correre anche il rischio di spaccare il centrodestra pur di fare spazio alle candidature di Giovanna Miele o di Alessandro Calvi, candidature a loro volta osteggiate da un gruppo compatto interno a Fratelli d'Italia che avrebbe invece voluto imporre il nome di Matilde Celentano. Ma la responsabilità di questa débacle è soprattutto di Claudio Durigon, perché fondamentalmente sua è stata la gestione della candidatura del centrodestra, sbrigativa nei modi e rovinosa nei tempi, sbagliati anche quelli. Amen.

Quanto al vincitore, per la seconda volta Damiano Coletta fa tesoro degli errori e delle debolezze del centrodestra, e questo non sminuisce la portata della sua affermazione alle urne, neppure se si tratta, come è accaduto, di un'affermazione sostenuta in maniera decisiva dal Partito democratico, e apertamente e fortemente appoggiata da settori moderati che fanno riferimento a esponenti di una destra oggi antizaccheiana. E forse, lo si vedrà più avanti, anche da un pezzo della stessa coalizione di centrodestra. Ma il risultato di ieri non è un colpo di spugna sui cinque anni persi durante l'intera consiliatura appena doppiata, e la domanda regina adesso è la seguente: Coletta comprenderà che è arrivato il momento di cambiare squadra e metodo di gioco, oppure uscirà da questo voto più convinto di prima di essere il migliore dei sindaci possibili? Mezza Latina gli ha perdonato errori, ingenuità, inesperienza, chiusure, superbia e spocchia, ma difficilmente vorrà vederlo ancora barricato nel fortino di Piazza del Popolo con il suo cerchio magico, perché quello che i cittadini esigono da lui è che sia il sindaco di Latina e non il sindaco di Lbc, come ha fatto fino a ieri. Certo, il momento è assai complicato, perché Coletta torna nell'aula consiliare con la carica di sindaco ma con i numeri dell'opposizione. Paradossalmente potrebbe essere proprio questa debolezza a rivelarsi la sua carta vincente se saprà cogliere il senso autentico del risultato del voto, quello del primo turno e quello del ballottaggio. Quale senso e quale lezione? La città si governa coinvolgendo e chiamando la comunità a uno sforzo comune, non respingendo e alzando barriere. E se la regola vale con i cittadini, lo stesso dovrà essere in Consiglio comunale, forse già pronto all'abbraccio. Auguri al nuovo sindaco. Si ricomincia da dove eravamo rimasti.