Dismesse la camicie a quadretti, le t-shirt e le salopette che avevano caratterizzato la prima stagione e i primi Consigli comunali della rinascita legalitaria al potere, la cravatta fondo bleu indossata ieri dal sindaco Damiano Coletta riassume da sé e in sé, annunciandola, la stagione del risveglio dalla sbronza inconcludente della prima consiliatura ellebiccina, e la fase della consapevolezza del ruolo e della missione.
Se a cambiare il profilo di Coletta e i suoi sia stata l'esperienza maturata negli ultimi cinque anni piuttosto che l'imbarazzo di essere tornati nell'aula consiliare in veste di ospiti di un'altra maggioranza, è difficile dire, ma da quello che si è potuto ascoltare dal discorso del sindaco all'assemblea, ce n'è abbastanza per azzardare che sì, la forma è sostanza, ma anche che l'abito non fa il monaco.
Insomma, non è cambiato granché. Anzi, interpretando tutto quello che ieri non ha detto, Damiano Coletta assomiglia a quello di sempre: tante enunciazioni, tanti slogan, gli appelli al senso di responsabilità, i richiami alla visione che dovrebbe accompagnare la città verso il traguardo del centenario con un nuovo abito commissionato coi soldi del Pnrr e tagliato su misura per l'Europa. E poi la sequenza di moniti rivolti a nuora perché suocera intenda: non è più il momento degli steccati, delle ideologie, dei pregiudizi, delle divisioni politiche, ma è il tempo della rinascita.
Sarà che è ancora tutto così maledettamente vicino, compresa la campagna elettorale, l'eco della scomposizione manichea tra buoni e cattivi non si è ancora dissipata, e nemmeno la frattura insanabile tra gli onesti e il comitato d'affari, e così la condanna morale per chiunque fosse anche soltanto idealmente associato a «quelli di prima».
E dunque, vedere uno di fronte all'altro composti e in assetto pacifico due gruppi che si sono a lungo detestati, offesi e vilipesi, è un impatto che disorienta, una situazione quasi surreale che indurrebbe qualsiasi bambino a distruggere quel fortino di finzioni e scappare via soddisfatto per lo scampato pericolo di venire risucchiato in quell'equivoco.
Damiano Coletta avrebbe dovuto dissipare quell'aria di forte imbarazzo dove il potere è affidato a chi non ha i numeri per esercitarlo e dove i vinti mostrano maggiore dimestichezza e padronanza del ruolo e dell'uso della scena e dei canoni della recitazione, ma evidentemente il sindaco non ha trovato le parole giuste.
Coletta avrebbe dovuto sottolineare la peculiarità della nuova situazione politica effetto del voto popolare, mostrarsi pronto a prenderne atto e disposto a trarne le logiche conseguenze, e dire di essere consapevole del suo nuovo ruolo di cinghia di trasmissione della volontà della maggioranza consiliare e di non temere eventuali quanto inesistenti danni di immagine derivanti dalla necessaria disponibilità al confronto costruttivo con il centrodestra per fare gli interessi della città. E per essere davvero convincente, da bravo ex capitano di una squadra di calcio, avrebbe dovuto tendere la mano all'avversario augurando alla città di poter assistere alla migliore partita mai giocata a Latina, perché stavolta, a campionato finito, in campo si gioca la partita del cuore. Il sindaco ha provato a dire qualcosa del genere, ma come spesso gli succede, è rimasto in superficie. E quando non si riesce a toccare le corde giuste, non si può essere convincenti. Specie se si ha di fronte una città attenta che insieme alle parole giuste reclama impegno, sostanza e fatti.