Matteo Adinolfi, ieri, era in forma. Anche se stavolta è riuscito a non farsi espellere, andandoci comunque vicino. Nel suo intervento ha sostanzialmente ribadito che «questa amministrazione è incapace di fare, c'è una città ferma da tre anni. Andate in giro a chiedere alla gente cosa pensa di voi», ha sfidato quelli dall'altra parte che per lo più erano intenti a fare altro, testa china sul banco. D'Achille s'è svegliato dal torpore solo quando Adinolfi ha detto che «per la Lega un assessore indagato dovrebbe dimettersi», ricordando al leghista i guai del suo leader. Alessandro Calvi ha sfoderato un colpo di teatro: ha tirato fuori una lettera del 2012 firmata Damiano Coletta e riferita al teatro e al bando ferragostano per privatizzare il D'Annunzio promosso dall'allora sindaco Giovanni Di Giorgi. Calvi fa notare che quel ferragostano è stato usato come sinonimo di chetichella, esattamente la stessa adottata dalla giunta Coletta il 28 dicembre per la variante Q3. Ma il siparietto migliore è arrivato solo in finale di seduta. Nella sua replica l'assessore Castaldo ha tacciato la consigliera del Pd Nicoletta Zuliani, rea di aver dal primo momento contestato la delibera, di essere «un pericolo pubblico». Al che sbotta il solito Adinolfi che ricorda a Castaldo la miseria dei 30 voti presi grazie ai quali fa l'assessore, sottolineando che dovrebbe portare rispetto a una consigliera che di voti ne esprime quasi mille. Castaldo alla fine, per fortuna, si scusa. La frase incriminata nasceva a margine dell'intervento dello stesso assessore, ed era un modo per replicare all'esponente Pd, sostenendo che poteva accettare lezioni di politica ma non lezioni tecniche sulla sua professione.