"Continuo a leggere sui mezzi d'informazione che il Governo avrebbe compiuto un grandissimo sforzo immettendo 400 miliardi di liquidità sul mercato attraverso il decreto emanato. Ma non è così". A dirlo è il senatore di Forza Italia, Claudio Fazzone, in un intervento con cui attacca la manovra del Governo. 

"Sarebbe bastato poco - spiega il senatore - magari anche solo un 30% di finanziamenti alle imprese a fondo perduto per dare un po' di ossigeno vero al nostro sistema produttivo ed invece l'esecutivo ha preferito procedere con un ricorso esclusivo ai prestiti. Vorrei che ci fosse un po' di sincerità da parte del governo, perché ci saremmo aspettati un'immissione shock vero in termini di liquidità, ma con questo provvedimento le imprese finiranno solo con l'indebitarsi ulteriormente. Il governo propone di garantire le banche dalle insolvenze debitorie, anziché sostenere le attività produttive con trasferimenti diretti nei conti correnti aziendali. In questo decreto la liquidità non è somministrata a fondo perduto nelle vene produttive del nostro Paese, ma nella formula del prestito con il vincolo della restituzione".

Prosegue Fazzone: "Per rendersene conto basta entrare nel merito del decreto e capire quali saranno gli effetti concreti che produrrà. Ebbene, il sistema bancario presta garanzie e si dichiara disponibile ad erogare questo credito. Con questo decreto il prestito pieno di 25.000 euro viene concesso se si ha un fatturato annuo pari ad almeno 100.000 euro. Ipotizziamo che un cliente, imprenditore, abbia già un affidamento di 20.000 euro con ‘Banca Intesa', una delle prime a indicare le linee guida per l'erogazione. L'istituto di credito afferma di essere disponibile all'erogazione del credito, a patto che sia superiore del 10% di quello già concesso. L'imprenditore potrà pure ottenere un fido di 25.000 euro dalla banca, ma a condizione di annullare i 20.000 euro di crediti in bianco. Quindi a conti fatti, la banca trasforma il credito chirografario in credito garantito dallo Stato: l'imprenditore avrà ottenutonelle migliore delle ipotesi, appena 5.000 euro. In più per le imprese ci sarebbe un ulteriore aggravio in termini di costi. Secondo quanto previsto dal decreto la banca che eroga questo credito deve applicare come tasso medio quello pubblicato da Bankitalia, ovvero massimo l'8,64%". 

"Ma c'è di più, perché le spese non sono finite. L'imprenditore per ottenere il credito deve pagare la commissione dello 0,25% del primo anno, dello 0,50% il secondo e terzo anno, dell'1% il quarto, il quinto ed il sesto anno. Applicando la commissione ai 25.000 euro l'imprenditore deve versare 585 euro in totale. Ciò significa che l'incidenza media sui 25.000 euro è del 2,40%, ma se paga 585 euro sulla somma realmente ricevuta di 5.000 euro si raggiunge l'11,60% dell'utilizzato. Alla luce di ciò, mi chiedo come si possa affermare che questo provvedimento vada davvero incontro al mondo delle imprese e appare evidente come il governo abbia avuto davvero poca cura delle modalità di erogazione di questo credito. Con grande schiettezza vorrei rivolgere al nostro primo ministro alcune domande. Ma questo decreto serve ad immettere liquidità o è un salva banche? Con questo sistema adottato il decreto nella misura dell'80-90% servirà a trasformare i crediti chirografari in crediti garantiti dallo Stato. Era questo l'intendimento dell'esecutivo? Il governo dispone di tanti consulenti, ma sono davvero capaci? In questo decreto si nota veramente la loro mano?".

"La realtà è che siamo davanti ad un decreto che garantisce aiuti per le banche e non agli imprenditori - conclude il senatore - Lo ripeto, la conseguenza vera del decreto sarà quella di aumentare la disponibilità degli istituti di credito e non delle nostre imprese. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dovrebbe evitare il ricorso all'enfasi nelle sue dichiarazioni. Dovrebbe comprendere meglio quali potrebbero essere le conseguenze più gravi del provvedimento tanto sbandierato. Il rischio è davvero grande, perché il pericolo che incombe è che possa saltare l'intero sistema commerciale-industriale delle imprese italiane, e a pagarne le conseguenze prima o poi sarebbe lo stesso governo. Deve essere chiaro che nel nostro Paese ciò che crea la ricchezza è la produzione. Il nostro sistema produttivo è fatto di piccole aziende commerciali, industriali e artigianali che alimentano gli stipendi dei parlamentari, del pubblico impiego e i trattamenti pensionistici. Incoraggiarle ad indebitarsi è un atto controproducente, che rischia di prolungarne l'agonia e a rassegnarsi al declino".