Ha costruito un impero. E andando a vedere la sua storia personale verrebbe da dire che nel corso di tanti anni di esperienza ne ha realizzati più di uno. Lo definiscono pignolo, esigente, sempre impegnato col lavoro, un po' scontroso. Lui sorride ma ci pensa: «Dice? Non mi sembra, certo sono uno che lavora notte e giorno, però scontroso no, non direi». A prescindere da pregi e difetti Aldo Braca è senza dubbio un imprenditore di altissimo livello. La sua ultima creatura, la Bsp, è stata definita da più parti una sorta di miracolo in una terra dove tutti sono abituati, purtroppo, a sentire parlare di cassa integrazione, presidi di operai, licenziamenti. Invece, in controtendenza, la società è nata, cresciuta e oggi lavora tra Stati Uniti e Giappone fatturando, per quest'anno, oltre 100 milioni di euro.

Lei è uno che lavora notte e giorno non c'è dubbio. Si descriva...
«Sono pignolo, questo sì. Amo capire le cose perché sa, se non mi convinco non riesco a valutare appieno i rischi. Però no, non sono scontroso. Certo non faccio vita mondana e amo il basso profilo. Quando lavoro non ne ho per nessuno e il resto per me è la famiglia, i miei nipoti, nient'altro. Non partecipo a cene, convegni, eventi. Non mi piace».
Quando ha avuto l'intuizione della Bsp?
«Sono impegnato nel mondo del farmaceutico da decenni. Ho costruito molti impianti e, lo sa? Ho sbagliato tante volte nella mia vita professionale. E così alla fine della mia carriera ho deciso di fare una cosa: capitalizzare gli errori fatti e costruire una nuova realtà imprenditoriale».
Cosa è la Bsp?
«Qualcosa di unico. Per la squadra che la anima, che non soltanto lavora al suo interno, ma che la anima, ossia che fa parte di questa famiglia, e poi per le tecnologie che impieghiamo che ci portano ad essere, per esempio, un impianto verde a emissioni zero. Un esempio: i nostri ambienti di lavoro sono più puliti delle nostre case e così l'aria che si respira nel nostro stabilimento».
Lei viene da una carriera importantissima. La Bristol, poi le attività con multinazionali in tutto il mondo, la vita negli Stati Uniti. Chi glielo ha fatto fare?
«Perché alla mia età volevo costruire un sogno e ci sono riuscito. Ho rischiato tutto anziché andare in pensione e, lo dico con gioia, ho grandi progetti per il futuro e sono tutti già sostenibili economicamente».
Ok, dica due numeri...
«La Bsp ha oggi seicento dipendenti e un fatturato di circa 100 milioni di euro. Non abbiamo debiti sul breve termine e abbiamo già finanziato il nostro piano di sviluppo fino al 2027 quando, se le cose andranno come previsto, fattureremo 300 milioni di euro annui grazie al lavoro di mille dipendenti».
Il rapporto con il mercato estero?
«Noi facciamo solo export: l'80% con gli Stati Uniti e il 20% con il Giappone».
I vostri progetti futuri includono anche la ex Gambro che avete appena acquisito...
«La Gambro è un plus. Noi il nostro sviluppo lo abbiamo già pensato sul nostro terreno, abbiamo pronti altri 20mila metri quadrati di impianti di produzione per immunoterapia. Il nostro è un lavoro per l'oncologia innovativa, fatta come ho detto di tecnologia. La Gambro l'abbiamo presa perché è vicina al nostro sito e non ci piace avere vicini scomodi. Così abbiamo inserito quel sito nei nostri progetti, una volta modificato lo metteremo a servizio del nuovo stabilimento. Il fabbricato grande lo utilizzeremo per la ricerca di base, per la quale abbiamo già patenti in tutto il mondo per realizzare una nuova piattaforma di trattamento oncologico di prima linea»
Ci sarà anche spazio per un rapporto con l'università?
«Abbiamo già una collaborazione importante con La Sapienza e con il Cnr e ci teniamo moltissimo. Per dovere sociale e anche perché abbiamo bisogno di tanti giovani laureati e questo rapporto ovviamente ci aiuta. Anche negli Stati Uniti abbiamo importanti rapporti con le università».
A proposito, dicono che stia aprendo un sito produttivo negli States. E' vero?
«Sì, stiamo valutando una nuova apertura sulla costa est. Sarà un sito satellite della Bsp attraverso il quale vogliamo stare vicino ai nostri clienti americani. Niente di più, il resto a partire dalla tecnologia sarà tutto realizzato qui a Latina».
Parlando della provincia di Latina, perché è tornato qui per aprire il suo stabilimento avendo rapporti in tutto il mondo?
«La ragione è semplice: volevo venire qui perché per realizzare questo progetto serviva acqua e buona manodopera. Questa zona è ricchissima da questo punto di vista. Poi la scelta del sito è stata casuale perché io stavo trattando un terreno qui vicino. Il prefetto di allora mi parlò della Tetrapack dove c'erano più di cento operai in bilico. L'ho visto, ho fatto due conti e l'ho preso a prezzo di mercato senza favoritismi. Poi la decisione di riprendere la manodopera è stata una mediazione della politica ma io lo avrei fatto lo stesso e l'ho fatto prima di tutto perché questa comunità lo meritava».
Come si sente ad essere una mosca bianca? Insomma lei apre stabilimenti e non li chiude...
«E chi ci ha mai pensato? Io lavoro sempre, cerco clienti. Corro così tanto che non mi sono mai fermato a pensarci. So solo che quest'anno pago 7 milioni di euro di tasse al fisco e questo va inserito nel ragionamento dei numeri e di quanto costa tenere in piedi un'azienda del genere. Costa ma dà anche tante soddisfazioni perché chi ne fa parte ci crede, è entusiasta, ha voglia di crescere con noi».
Come vede Latina e la provincia in generale?
«Male. Male. Non la vedo bene, si è capito vero? Potremmo essere un pezzo di California e sembriamo il sud America. La gente, la nostra gente questo non lo merita».
Si spieghi...
«Premetto che non frequento il mondo politico. Penso però che la politica di questo territorio in generale non sia a conoscenza di cosa accade nel mondo esterno. Siamo nell'epoca della globalizzazione, il mondo e i paesi ricchi devono stare attenti perché questa ricchezza non è più appannaggio di pochi e si crea e non si converte. Si crea. Ecco, penso che chi ha il dovere di governare dovrebbe valorizzare le cose belle del territorio e tenere presenti i drammi sociali che lo affliggono, primo fra tutti la disoccupazione. Questi aspetti, a mio avviso, non vengono presi in considerazione con adeguata attenzione».
Ha mai pensato di impegnarsi in un ruolo pubblico?
«Non ne sarei capace. Non è roba per imprenditori. Però alla politica vorrei dire che fare questa attività è una missione e non un mestiere e che bisogna avere umiltà».
Ha un'idea di come rilanciare il territorio, a prescindere ovviamente dalla sua attività...
«Abbiamo una costa bellissima, gente laboriosa e una popolazione giovane. Serve altro? Non credo. La nostra costa è abbandonata, la nostra città e il territorio in generale sembrano abbandonati. I nostri ragazzi conoscono la passeggiata lungo il Corso e hanno poche aspirazioni perché il territorio le ridimensiona, non le amplifica. Ecco, i nostri politici non sanno ascoltare i ragazzi».
Riceve molte raccomandazioni dai politici? (Braca qui sorride ma non evita la domanda che non gli crea alcun imbarazzo)
«Tantissime. Infinite. Le dico prima una cosa però: su questo territorio hanno tutti l'abitudine di pensare che se un'azienda fa lavorare una persona gli fa un piacere. Assurdo. E' vero il contrario: se l'azienda assume una persona preparata e utile alla sua attività, beh assume una professionalità. Ecco questa retorica non la sopporto e non sopporto l'autoreferenzialità di certa politica e di certa gente».
Tornando alle raccomandazioni?
«Ne ricevo moltissime e non solo da politici. Ma la cosa più triste è una: la gente ha davvero bisogno di lavorare e spesso alcuni politici non se ne rendono conto perché altrimenti in alcuni casi non mi chiederebbero un semplice colloquio solo per fare bella figura. Sì, succede così, alcuni ti chiamano e ti dicono: fagli fare il colloquio, poi se non lo assumi non importa. Questo non è interessamento reale per la gente è opportunismo e non lo sopporto».
Ha fatto tanto nella sua vita, ha ancora un sogno da realizzare?
«Certo, cosa crede. Far crescere ancora questa società. Certo abbiamo tutto già scritto dal piano ai conti, e la strada è tracciata e la cosa più bella è che ci crediamo davvero e che questo non è il sogno di Braca ma quello di tutta l'azienda. E la soddisfazione più grande sa quale è? Quando mi affaccio nella sala mensa e sembra una mensa universitaria. Tanti ragazzi, tanta voglia di fare, tutta roba di qui. Di questa terra».