Uno sviluppo disordinato, fatto di condoni, sanatorie, permessi di costruire vincolati alla cessione di aree pubbliche poi divenute inutilizzabili. Così a Terracina l'edilizia delle deroghe negli anni ha mangiato il territorio. E soprattutto ha divorato quegli spazi che erano destinati alla collettività. Verde pubblico, senz'altro, ma anche parcheggi. Si tratta di aree “contrattate” col privato, che però per sviste e sanatorie, o sono divenute completamente private, o pressoché inutilizzabili. A dirlo non è l'ambientalista di turno, ma lo stesso dipartimento di Urbanistica del Comune nella delibera commissariale (di Consiglio comunale), che ha approvato il regolamento per la monetizzazione delle aree che avrebbe l’ente avrebbe dovuto avere in cessione dal privato che chiedeva il permesso a costruire, ma che di quelle aree non saprebbe cosa farsene. Piccole, strette, chiuse in lotti, cementificate.


Il focus è lungo la famigerata zona C2, la fascia costiera, che con una variante doveva trasformarsi da residenziale in servizi e turismo, proprio grazie alla contrattazione pubblico-privato: al privato cubature per attività ricettive o anche per ampliamenti residenziali, ma in cambio di aree da destinare a verde e parcheggi. E invece? Il Comune, oggi, preferisce monetizzare: ricevere soldi al posto di aree inutili, che così diventeranno giardini privati. Ma almeno, quei soldi, serviranno a realizzare quei servizi collettivi altrove. Almeno si spera.


Il territorio, di fatto, è compromesso. «Ha subito un significativo incremento dei volumi, guidato da un generale spontaneismo urbanistico», si legge nella relazione, a causa di condoni e permessi impropri. Determinando «un’ulteriore carenza di spazi dedicati alle funzioni pubbliche e collettive». Le zone omogenee individuate nel 1968 , nel Prg nel 1972, esistono solo sulla carta. «Sono state realizzate in passato aree a parcheggio privato o pubblico – scrive ancora la delibera commissariale - che ancorché rispettose del dettato normativo in termini di consistenze hanno una configurazione tale da renderli non funzionali e spesso non completamente fruibili a fini pubblici». Come dire: le regole sono state rispettate, ma l’area non c’è. Un paradosso. E allora, meglio delle aree, è il loro valore in soldi. E anche qui, si sta procedendo a una rivalutazione perché ,scrive il settore, la monetizzazione già stabilita nel 2011 ha «comportato determinazione di valori non perfettamente rispondenti ai prezzi di mercato». Detta meglio: «valori non congrui rispetto a quelli necessari per l'acquisizione di aree atte al soddisfacimento della dotazione di parcheggi da destinare a standard».


Per il commissario, comunque, «ora la priorità è di favorire l’incremento della dotazione degli spazi per funzioni collettive, anche ricorrendo a monetizzazione degli standard». Meglio tardi che mai. Bisognerà però ripartire da zero, o quasi e questo nonostante la città, in termini di suolo, abbia già pagato un prezzo altissimo. Il via libera alla monetizzazione è vincolato solo all'accertata inutilizzabilità dell'area: lotti interclusi, di difficile accessibilità pubblica, inutili per dimensioni. Ma la sostanza non cambia. Il dipartimento diretto dall'architetto Bonaventura Pianese sta tentando di mettere ordine in un assetto urbanistico ingessato e claustrofobico per tornare a parlare di spazi pubblici. Per decenni sacrificati sull'altare del bilancio. E del consenso.