Doveva essere la casa delle tradizioni, lo scrigno che avrebbe custodito le usanze, gli oggetti, le memorie, il dialetto e la poesia locale. Il progetto per la casa Torre degli Acso c’era, lo aveva scritto nel dettaglio il professor Emilio Selvaggi, che aveva immaginato un ruolo importante per i giovani della città: quello di prendere in carico il racconto dei vecchi e trasformarlo in patrimonio pubblico, da esporre e far crescere in un palazzo storico tra i più antichi.

Oggi la scelta dell’amministrazione comunale di valutare l’affidamento della Torre ad un istituto di scuola nautica viene criticata. E forse ce ne sono pure le ragioni. Ma non si può non rilevare l’assenza di altre proposte organiche e dal basso nei tre anni in cui, pur con grande impegno e amore, il palazzo è stato gestito da alcune associazioni. Ai giovani, il professore scomparso qualche mese fa, voleva affidare però un compito più arduo e pieno di soddisfazioni: recuperare la memoria della città, raccoglierla in un unico luogo, gestirla, presentarla ai "forestieri". Fare del palazzo un museo delle tradizioni, ricco di oggetti, libri, memorie, dialetti, recuperati nelle case e dai racconti degli anziani, per far diventare la generazione più vecchia utile non solo per fare il nonno vigile o l'iscritto a un centro sociale o alla bocciofila. Un lavoro non facile, che richiedeva impegno ma che con il tempo avrebbe dato i suoi frutti. Su un progetto come quello lasciato dal professore si potevano avere finanziamenti pubblici e si poteva immaginare molto del futuro della città. Si sarebbe così evitato che il Comune continuasse a percepire la Torre degli Acso come un peso da scrollarsi di dosso. Questo spirito è mancato e bisogna dirselo. Nessuno è stato in grado di cogliere il grosso messaggio lasciato da Selvaggi: che i giovani costruissero l’identità e la memoria di una città. E onestamente la colpa non si può attribuire tutta alla politica.