Foro Italico, Internazionali Bnl d'Italia. Una mattina come tante altre, dove tra uno scroscio di pioggia e l'altro, provi ad interrogarti su quello che è il tennis di oggi, senza dimenticare chi lo ha reso celebre. Poi ti imbatti in Paolo Bertolucci, il "braccio d'oro" del nostro tennis, oggi opinionista e commentatore tv a Sky. E ripensi a Formia, a quel miracolo targato Mario Belardinelli. A quei quattro "moschiettieri" che partirono proprio dalla cittadina del sud pontino, per riscrivere la storia di questo sport. E allora...
Paolo Bertolucci arriva a Formia quando?
"Nel 1964, insieme ad Adriano Panatta, Totò Bon e Mario Caimo" in quello che fu il primo esperimento di Mario Belardinelli con giovani tennisti italiani.
Il primo impatto?
"La prima impressione fu quella di essere finito in una specie di lager. Un attimo dopo, però, mi accorsi che era un luogo magico, unico nel suo genere. L'aria che si respirava era diversa".
Cosa ti fece cambiare subito idea?
"Il fatto di mangiare a tavola con i Berrutti, gli Ottolina, gli Ottoz, mi fece capire che Formia, quel Centro, era un qualcosa di simile ad un Villaggio Olimpico, atmosfera che avrei assaporato poco dopo. Ci misi pochissimo a capire che ero finito nel posto giusto".
Due campi in terra battuta dove nacque un miracolo tennistico targato Mario Belardinelli.
"Era un grande tecnico, ma soprattutto un grande uomo. Per me, per molti di noi, è stato veramente un secondo padre. Ci ha aiutato in mille modi, sempre con quel suo tono burbero, tosto, ma con un cuore profondamente umano. Ci ha insegnato a vivere in campo, fuori dal campo, a rispettare gli altri, a capire la fortuna che avevamo avuto di essere lì, a giocare a tennis, a frequentare quei luoghi e, quindi, ad avere la possibilità di girare il mondo. Per noi era praticamente come un ragazzino a Disneyland".
Un Centro, l'attuale "Bruno Zauli", un albergo, le usanze, le vostre giornate: ricordi indelebili nel cuore di chi, come te, è partito da Formia per contribuire a scrivere la storia del tennis italiano.
"I primi anni del College abitavamo dentro il Centro, nella prima palazzina a sinistra, insieme ad altri giovani atleti, che come noi frequentavano la scuola. Al mattino, dunque, sui banchi in classe, il pomeriggio i quattro del tennis frequentavano i due campi in terra battuta proprio di fronte la palazzina, gli altri invece andavano sul campo di atletica o in palestra, a seconda dello sport. Dopo qualche anno ci trasferimmo prima all'Hotel Miramare e successivamente al Fagiano, che erano i due alberghi della famiglia Celletti. Che dire, mi ricordo delle grandi sfide a biliardo, degli scherzi bellissimi fatti anche alla popolazione di Formia".
Ce n'è uno in particolare?
"Il 1 aprile con la famosa, chiaramente inventata, squadriglia Pirlot di Milano che effettuava lanci con il paracadute. Riempivamo le tribune, c'era mezza Formia presente. Poi naturalmente, siccome era tutta una burla, dovevamo scappare perché volevano linciarci".
A Formia nacque lo storico doppio con Adriano Panatta, anche se il battesimo avvenne a Gaeta.
"Non ricordo se era la Nazionale Under 20 o 21, in un incontro internazionale amichevole contro la Polonia. Sul 2-2 c'era il doppio decisivo, che abitualmente Panatta giocava con Marzano, quindi non ci pensavo assolutamente al fatto che avrei potuto giocare. Venne Belardinelli e mi disse: 'spogliati, giochi tu'. Rimasi chiaramente sorpreso e lo guardai dicendogli: 'E' proprio sicuro?'. Mi dispiacque molto per il 'Barone" Marzano, perché per lui quello fu un colpo. Noi andammo in campo, giocammo bene e alla fine Belardinelli ci disse: 'Da qui in avanti continuate voi due'. E quindi la coppia nacque sui quei campi lì a Gaeta".
Nacque anche l'amicizia?
"No, quella era nata prima, perché purtroppo ho avuto la sfortuna di conoscere Panatta prima, ricordo in un torneo Under 11 a Cesenatico. Lui ha un anno più di me, mi battè in finale, rubando anche qualche palla come al solito. Fermo restando che aveva un anno di più, era più forte, romano, un campioncino molto portato e non mi stava nemmeno tanto simpatico. Poi Belardinelli ci mise addirittura in camera insieme a Formia. Da quel momento, come dire, ci siamo prima 'fidanzati' e poi 'sposati' e oggi ancora lo sopporto perché mi segue in continuazione ovunque io vada. Sarà un caso, ma dove mi sposto, lui finisce almeno nella mia regione. E' una cosa che non finirà mai".
Torniamo a Formia, ai campioni che frequentavano quel Centro. Il giovane Bertolucci chi ammirava in particolare?
"Pietro Mennea e Sara Simeoni, che ho avuto la fortuna di incontrare nuovamente insieme al marito Azzaro lo scorso anno a Verona. Erano degli esempi meravigliosi, atleti che stavano ore ed ore in campo. Penso anche a Berruti, piuttosto che Ottolina, Ottoz. Atleti di spessore unico, di valore mondiale. Guardando loro, i sacrifici che facevano, le ore che dedicavano al loro sport, per noi era un esempio assolutamente positivo. Poi, quando tornavo a casa, spesso e volentieri facevo dei viaggi in treno con la Masocco (lancio del peso e disco), futura mamma del grande Gigi Buffon. Ricordo che con lei in treno, mi sentivo molto protetto".
A Formia si creò qualcosa di magico. Sarebbe stata la stessa cosa anche senza un uomo come Mario Belardinelli?
"Il posto è meraviglioso, lo era anche all'epoca. Come in tutte le cose, però, ci vuole una guida. Senza di lui, questo progetto, questa storia, non sarebbe partita, non sarebbe nata. Ricordo perfettamente che, quando fui convocato, Belardinelli parlò con mio padre e lui gli disse: 'Guardi, io gli affido mio figlio. Lei non si preoccupi, se non si comporta come si deve, lo rimandi a casa, non prima di avergli dato due schiaffoni. Al resto, poi, ci penso io. A quel punto ho capito che ero caduto dalla padella alla brace. Però ripeto, lui è stato un mio secondo padre, non finirò mai di ringraziarlo, così come la Federazione che in fondo ci ha aiutato e protetto per anni ed anni. Senza Mario quella magia non ci sarebbe stata".
I segreti di un College sono legati anche e soprattutto al cibo. Cosa nascondevate te e Adrano in camera? 
"Purtroppo a me bastava guardare qualcosa che già ingrassavo. Erano gli altri che mangiavano come degli sfondati. Ricordo il riso al pomodoro e il minestrone alla sera, cose che non mancavano mai. Devo dire però che oggi, ogni volta che riassaporo un semplice risotto al pomodoro, con la memoria torno indietro. Sono stati sei-sette anni di formazione che restano indelebili, che non si possono assolutamente dimenticare. Sono tornato lì qualche anno fa e mi son venute le lacrime agli occhi, ripensando al custode, ai vecchi direttori, anche a coloro che ci sgridavano. Erano la nostra seconda famiglia, resteranno per sempre nei nostri cuori".
Lo scherzo più terribile in quegli anni di Formia?
"Ce ne sono stati tanti. Una volta arrivò Berruti con il Gt 1300 Alfa Romeo rosso, che era un po' come avere una Ferrari oggi. Ottolina, insieme ad altri, gli smontarono le ruote e le issarono, non so come fecero, di notte sull'albero più alto del Centro. Berruti la mattina seguente trovò la sua macchina fiammante su quattro mattoni e diventò pazzo. Ricordo anche quando volevo tagliare i capelli a Panatta, per cui la sera dormivamo sempre con gli armadi contro la porta della nostra stanza e lui aveva un coltello sul comodino. Panatta, del resto, era come Sansone: se gli toccavi i capelli, perdeva tutta la sua forza".
C'era un posto dove andavate spesso?
"Sì, in centro, un bar dove il sabato pomeriggio, verso sera, avevamo due ore libere, insieme alla domenica pomeriggio. Prendevamo un gelato, una Coca Cola, anche perché oltre non si poteva andare visti i mezzi economici a nostra disposizione, Ricordo benissimo che la domenica, siccome il Centro confinava con lo stadio, io con la radiolina ascoltavo le partite e sbirciavo per vedere la partita del Formia".