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Terracina, la storia

Calzolai, ecco gli artigiani che non vogliono mollare nonostante la crisi

Un nobile mestiere che rischia di sparire senza un ricambio generazionale. In città sono rimaste tre attività: «Andiamo avanti per passione».

Quando entri nelle loro botteghe sembra di fare un tuffo nel passato. Ci si immerge in quei pochi metri quadrati e si è attorniati da tanto di quel materiale da domandarsi come faccia chi gestisce l'attività a ritrovare qualcosa in quelle montagne di attrezzi, scarpe, borse, cinture, cerniere e giacconi. Nell'aria c'è sempre il profumo inconfondibile di cuoio, pellame e colla. Sono i regni dei calzolai, dei ciabattini (anche se c'è chi, forse in maniera irrispettosa, li chiama ancora "scarpari"), gli artigiani di quel nobile mestiere sempre più a rischio di scomparire non solo per la crisi generale ma anche perché manca, in Italia, la volontà di riconoscerne una vera e propria scuola, cosa che invece accade per qualsiasi altro lavoro artigianale. E poi è anche difficile il ricambio generazionale: trovare dei giovani disposti ad armarsi di pazienza per imparare un lavoro in un mondo "usa e getta", dove spesso si preferisce comprare il prodotto "cinese" a basso costo, o quello dei mercati, piuttosto di uno artigianale di qualità.
A Terracina sono rimasti in tre a difendere la categoria, a salvaguardare la riparazione di scarpe e quant'altro - anche perché non c'è più nessuno che se le fa fare ex novo e su misura - a discapito della rottamazione: Franco Cardarelli al centro storico, Olferino De Santis a via Gramsci, Gina Cima e Marisa Lo Nigro a via Traiano (queste ultime hanno ereditato l'attività da Gennaro, che iniziò il mestiere a 13 anni portandolo avanti per oltre 50anni). «Per fortuna c'è anche chi, in tempi di crisi dove si cerca di non buttare via niente, ancora ci cerca per risuolare le scarpe o per altro tipo di riparazioni - spiega Olferino -. Io ho pensato spesso di chiudere l'attività, ma mi piace questo mestiere e continuo a farlo soprattutto per passione». Già, proprio come Gina e Marisa, che amano rimettere a nuovo i materiali dei clienti e vedere la loro soddisfazione a lavoro ultimato: «La nostra speranza è di non dover essere costrette, un giorno, a mollare tutto per le tante spese che ci sommergono - affermano entrambe tra un tacco da incollare e una cucitura da rifinire -. Tra affitto e tasse si vive a fatica. Il personale è quasi impossibile trovarlo così come è impossibile comprare, senza sgravi fiscali, dei macchinari nuovi». E Franco? Lui, classe 1939, è rimasto il più anziano sulla piazza e rimpiange i tempi in cui «i miei clienti - ricorda - entravano nella bottega, sceglievano il modello e il materiale, poi ero io a costruire la scarpa dall'inizio alla fine. Peccato non ci siano giovani interessati ad imparare il mestiere. Oggi vogliono tutto e subito».

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