La storia
10.11.2024 - 11:00
Come una bella e regale signora affacciata sul mare, Via Vitruvio è la via del centro, nonché vero pezzo di cuore di chi a Formia ci è nato o ci vive per scelta. In un’atmosfera quasi di quartiere, da decenni residenti e visitatori transitano lungo il suo corso attratti oltre che dallo sguardo sul Golfo, dalle numerosissime vetrine che la animano. Alcune di queste, per nome e per storia, sono parte integrante dell’identità del centro formiano. È il caso della Tabaccheria Grossi che lo scorso 28 ottobre ha compiuto ben 100 anni di lavoro, traguardo sorprendente che è stato festeggiato con grande emozione della comunità. Anche il sindaco Taddeo ha elogiato la famiglia Grossi per la dedizione e la capacità di andare avanti in un mondo in continua evoluzione.
L’attività, come un antico albero, ha messo radici con le generazioni precedenti e oggi è una realtà ancora solida grazie all’impegno perpetuato nel tempo da Domenico, per tutti Mimmo. Nel viavai dei clienti di sempre, che nel negozio sono di casa, con la spontaneità che lo contraddistingue ci ha concesso un’intervista, per immergerci nella storia della Tabaccheria Grossi.
Tutto parte 100 anni fa. In che modo?
"Io mi chiamo Mimmo (all’anagrafe Domenico) come mio nonno. Tutto iniziò proprio con lui, che nel ‘24 acquistò questa licenza da una vedova di guerra che l’aveva ottenuta come risarcimento dallo Stato. Non potendosene occupare, la cedette a mio nonno a caro prezzo. Mia nonna raccontava che l’avevano pagata per ben vent’anni, un vero mutuo stipulato con la stretta di mano. Il periodo era drammatico, si veniva dalla guerra. E poi è arrivata la crisi del ’29".
Ci parli dei suoi nonni, fondatori della tabaccheria.
"Mia nonna si chiamava Maria Scipione, ed era il vero maschio di casa, possiamo dire che era lei che “portava i pantaloni”. Per pagare l’affitto ha venduto “mappate d’oro” - come diceva lei - che per fortuna possedeva essendo di famiglia benestante. Mio nonno invece era di Pastena, si trovò qui perché andò a fare la guardia nel carcere militare di Gaeta. Nella storia familiare rientra anche suo fratello, il Professor Enrico Grossi, che aprì vicino la Vecchia Fontana il convitto “Armando Diaz”, dove dava alloggio e preparazione scolastica ai ragazzi che venivano da fuori e frequentavano il Liceo Classico di Formia. Tra gli studenti ci fu Pietro Ingrao, che da Lenola venne a studiare qui".
Poi la tabaccheria passerà a suo padre. Era già un predestinato?
"No. Mio padre era il terzo figlio, fu mandato a fare la scuola motorista del C.R.E.M. a Pola, che all’epoca era ancora italiana. Dopo il ’43 fu fatto prigioniero con altri ragazzi. Aveva 17 anni. Furono messi su un treno direzione nord-est, destinazione Russia o Auschwitz. Per fortuna dopo una notte, all’alba sentirono colpi di mitra. Quando si aprirono i portelloni, comparvero le partigiane di Tito, tutte donne, che li liberarono e gli dissero di togliersi le divise e scappare. Mio padre con altri quattro ragazzi tornò a Formia a piedi, camminando di notte. Purtroppo non ha raccontato molto, ma ci ha detto che ogni volta che si fermavano in qualche fattoria dal nord a scendere ricevevano cibo e accoglienza. Tornato a Formia, la trovò distrutta, compreso il palazzo del negozio. Seppe che la famiglia era scappata a Pastena. Dopo un’altra settimana di cammino, la trovò in una situazione difficile con l’arrivo dei marocchini. Scapparono così in montagna. Qui ebbero la fortuna di convivere con Nino Manfredi e il fratello Dante. In realtà c’era una parentela, la nonna di Nino era di Pastena, penso che fosse proprio una Grossi. Nino alleviò un po’ questi mesi con la sue verve comica, per quanto fosse possibile in quella situazione".
Come ricostruirono il negozio a Formia?
"Quando tornarono sia il negozio che la casa erano saltati in aria. Ricostruirono i primi due piani grazie al legno di castagno che gli fornì un pastenese a cui mio nonno in cambio di derrate alimentari aveva ceduto un bosco. Nonostante poi un avvocato gli avesse detto che poteva rescindere il contratto, lui rifiutò perché la sua parola era solo una. Questo acquirente allora gli regalò tutto il legno per alzare il palazzo. Nel ’48 papà riandò in finanza, prima a Predazzo, poi a Grado. Nel ’51 si congedò ed entrò ufficialmente nel negozio. Già all’epoca inserì la fotografia. Fece diventare l’attività uno dei negozi più importanti d’Italia, con acquisti da importazione diretta in determinati settori: per esempio i film super 8 che si usavano all’epoca arrivavano direttamente dalla Kodak in Francia dove c’era la fabbrica. Così come le pellicole istantanee arrivavano dagli Stati Uniti e le macchine fotografiche dalla Germania. Il negozio era il “Salotto di Formia”.
Ricorda personalità particolari che lo frequentavano?
"Sara Simeoni e suo marito, che per un periodo hanno vissuto a Formia. Ma anche i vari atleti che erano qui per la preparazione delle Olimpiadi del ’60, scopo per cui fu aperto il Coni a Formia. Ma ricordo anche Berruti, Frinolli, Morale, che venivano per la fotografia oltre che per i vari articoli da regalo che avevamo. Eravamo profumeria, pelletteria e tanto altro".
Quando è toccato a lei?
"Io studiavo Giurisprudenza a Napoli. Poi mia nonna decise finalmente di passare la titolarità a mio padre. Era il 1980. Allora lui mi chiese se volessi entrare nel negozio. All’inizio credevo che sarei riuscito a concludere ugualmente l’università, ma poi non è stato così. Ovviamente gli studi sono stati fondamentali per la mia formazione. Entrato qui ho portato avanti la mia passione per la fotografia e ho incrementato questo settore. Poi sono nate anche la altre mie passioni, come quella per gli orologi. E per le pipe. Una pipa acquistata qui è stata regalata a Pertini. Questo per me è un orgoglio".
Com’è cambiata la città di Formia nel tempo?
"Purtroppo molti dei grandi commercianti storici non ci sono più. È il mondo che cambia".
Qual è il merito che riconosce a suo padre?
"Lui aveva una preveggenza a livello commerciale. Vedeva trent’anni avanti. Quando arrivarono le prime ricariche telefoniche che si grattavano, disse: “Vedete tutti i soldi che stanno spendendo? Sono tutti quelli che verranno sottratti alle famiglie e noi non venderemo più niente, perché quel soldino che metteranno da parte lo bruceranno per i telefonini”. Lungimirante a dir poco".
Che futuro prevede per questa attività?
"Il settore del tabacco è sicuramente in sofferenza. I miei ultimi figli sono ancora molto piccoli. Chi vivrà vedrà. Da qualche anno abbiamo le nostre mura di proprietà. Io sicuramente vado avanti".
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