L'intervista
01.09.2025 - 20:30
Un luogo sospeso tra mito, natura e architettura razionalista. Sabaudia, nata come città di fondazione, nel tempo è diventata rifugio silenzioso e al tempo stesso laboratorio creativo per scrittori, registi e artisti di fama internazionale. Da Moravia a Pasolini, da Dacia Maraini a Bernardo Bertolucci fino a Ian McEwan, la città sulle dune ha ospitato generazioni di intellettuali che qui hanno trovato non solo vacanza e riposo, ma soprattutto uno spazio per continuare a creare, scrivere e riflettere. A raccontare questo rapporto unico è Paolo Massari con il suo libro La vacanza degli intellettuali?, un saggio che intreccia memorie, testimonianze e suggestioni per restituire l’immagine di una Sabaudia capace di trasformarsi da luogo simbolo del fascismo a scenario culturale di respiro internazionale. Nell’intervista, l’autore accompagna il lettore tra storie celebri e meno note, ricordi indelebili e contraddizioni, svelando il volto letterario e umano di una città che continua ad affascinare.
Gli intellettuali e Sabaudia. Come è nata l’idea di raccontare questo particolare rapporto?
Un luogo mitico per eccellenza, con una storia ben nota e ben determinata, che da un certo punto in poi ha cominciato ad ospitare una serie di intellettuali: pittori, artisti, scrittori, registi, anche in tempi e modi diversi, tutti con la stessa necessità, probabilmente, quella di sparire e continuare a esistere creando.
Perché proprio Sabaudia? Cosa l’ha spinta a scegliere questa città come fulcro della narrazione?
Proprio perché qui più che altrove, dagli anni Settanta in poi, si sono radunati in tanti, per ragioni diverse e anche molto pratiche: la vicinanza da Roma, la natura selvaggia, la possibilità di stare lontani da tutto, visto che la città era separata dal mare grazie al lago, che prima del ponte creava un vero e proprio “divisorio” naturale. Ho cercato di seguire traiettorie diverse: Bertolucci e McEwan, Moravia ed Elkann, Maraini, Pasolini, Betti e tanti altri.
Nel suo libro, Sabaudia diventa quasi un personaggio. Che volto ha oggi, rispetto a quello del passato che racconta?
È facile e difficile istituire paragoni, dire che il volto di oggi è peggiore di quello di ieri. A onor del vero, non ho vissuto quel tempo, l’ho ricostruito, ne ho cercato le tracce; certo, mi viene da dire, è naturale ma anche un po’ singolare che di tanti passaggi, oggi, sia rimasto davvero poco.
In che modo Pasolini e Moravia hanno influenzato l’immagine culturale della città?
Nella misura in cui oggi, lì, ci si ricorda di loro? Sì e no. Sicuramente si deve -anche- a loro il superamento dello stigma di città fascista che fino a un certo tempo aveva tenuto lontano tante e tanti: ricorda Bertolucci che nel 1958 il padre Attilio e Moravia erano ancora inorriditi, durante una sortita in città. Pasolini, nel documentario “La forma della città”, in mezzo alle dune racconta di come l’architettura stessa sia stata più intelligente del fascismo, e fa anche un mea culpa rispetto a quell’atteggiamento che tanto a lungo si era protratto.
Lei parla di “vacanza degli intellettuali”: che tipo di vacanza era, realmente?
Vacanze operose, come dicevo. Vacanze in cui non c’era mai una dimensione creativa messa a tacere, sospesa. Emerge in modo lampante nel racconto di una “giornata tipo” a Sabaudia che fanno, ognuno per suo conto, Moravia e Maraini: entrambi parlano di lunghe passeggiate, di sessioni di scrittura, lettura. La Capria racconta di aver sentito quasi un certo senso di colpa, svegliandosi nella casa al mare di Moravia e Maraini in cui era ospite, e sentendo già di buon mattino il ticchettio delle loro macchine per scrivere.
Nel libro emergono figure di spicco del cinema e della letteratura, da Bernardo Bertolucci a Ian McEwan: come si intrecciano le loro storie con quella di Sabaudia? Ci racconta qualche figura che l’ha colpita di più?
Un’accoppiata esotica, pensando a entrambi non è un’associazione che viene in mente in maniera così “automatica”: da un lato Bertolucci, il suo corpo imponente, dall’altro la figura esile, molto inglese, di McEwan, i grandi occhiali, il volto che sembra sempre pronto alla battuta. Sabaudia non è in vacanza, i due si ritrovano in inverno, quando il lungomare è deserto, solo per loro, con il Circeo che incombe. Ha qual cosa di filmico anche l’idea stessa dei due a lavorare insieme a un film. Curioso, per certi versi, che Bertolucci si sia rivolto a uno scrittore non italiano per la sceneggiatura da un romanzo di Moravia ambientato a Capri, 1934. E qui c’è un’altra coincidenza buffa, visto che si tratta dell’anno della fondazione di Sabaudia. Il lavoro poi non vede la luce, ma questo non mina l’amicizia e il rapporto di stima tra i due, né il ricordo di entrambi di quelle settimane febbrili -anche se senza risultati.
Nel libro cita anche il lato oscuro del Circeo, con un delitto destinato a segnare il Paese. Come si inserisce questo episodio nel racconto?
Non Sabaudia, ma il vicino Circeo è stato teatro nel 1975 di un episodio gravissimo di violenza su due giovanissime donne, un delitto efferato che oltre ad aver sconvolto l’Italia ha diviso e scosso gli amici intellettuali che frequentavano Sabaudia, come appunto Pasolini, Moravia e Maraini, per le diverse letture sociali e di classe che sono state date. Maraini sembra dare la lettura più completa rispetto a un atto di violenza da valutare per quello che era. Torna su quell’evento di sangue decenni dopo Edoardo Albinati con il suo “La scuola cattolica”, di cui pure parliamo nel mio libro.
Nei decenni, la città ha mantenuto un equilibrio particolare tra natura e architettura: quanto pesa questo nel fascino che esercita sugli ospiti?
Sabaudia incarna, in sé stessa, una vera e propria anomalia: appena costruita sfugge alla funzione per cui è stata pensata, di borgo agricolo al servizio dei coloni, come avviene per i tanti agglomerati intorno, fondati nel segno della tanto decantata bonifica della palude pontina. È una città disegnata da architetti razionalisti, e che ha una natura tutta sua: un immenso, selvaggio parco, il lago di Paola, e poco più in là il mare, che fino a un certo punto si poteva raggiungere solo a nuoto o con i barchini.
La città oggi vive anche di turismo di massa: quanto è compatibile con la memoria che lei racconta?
Il presente esiste e non può che essere compatibile, non possiamo astrarci dal tempo in cui viviamo, anche se ne raccontiamo uno lontano.
La scrittura di questo libro è stata più un viaggio nella memoria o una ricerca storica vera e propria?
Ricerche, letture, testimonianze hanno accompagnato la tessitura di questo saggio narrativo che si propone come un viaggio -non esaustivo- per guardare con altri occhi un luogo, attraverso le storie che porta in sé. E anche un’occasione per riavvicinare autori, opere, istanze, climi culturali.
Se dovesse accompagnare un lettore del suo libro a Sabaudia, quale sarebbe il primo posto in cui lo porterebbe?
La biblioteca fondata e diretta dal mio prozio Feliciano Iannella, oggi ospitata nell’ex Palazzo delle Poste, splendido esempio di architettura razionalista a Sabaudia, custodisce da qualche anno i libri della casa al mare di Moravia e Maraini: l’unico segno tangibile, in effetti, di quelle estati, di quella permanenza. Volumi con dediche, ex libris, sottolineature.
Infine, una domanda personale: per lei, Sabaudia è più un luogo del cuore o una storia da raccontare?
Entrambe, credo che sia più facile raccontare un luogo che si ama. E che non dà certezze, come Sabaudia.
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