L'ipotesi di una colluttazione seguita da una caduta accidentale nel parcheggio multipiano, con l'esito poi fatale per Anna Lucia Coviello, non ha convinto affatto la Corte d'Appello di Roma. Per i giudici di secondo grado, chiamati a pronunciarsi dopo il rinvio della Cassazione, Arianna Magistri ha colpito la collega con un pugno e poi l'ha spinta dalla rampa di scale. Una ricostruzione che per la Corte dimostra che l'imputata «voleva uccidere, quantomeno sapeva che non solo poteva, ma che era ordinaria conseguenza del gesto l'uccidere». Motivo per cui è stato riconosciuto il delitto di omicidio volontario, respingendo la riqualificazione in omicidio preterintenzionale prospettata dalla difesa e che era stato riconosciuto invece nella prima sentenza d'appello.


Sono state depositate in questi giorni le motivazioni con cui la Corte d'assise di Appello di Roma ad aprile ha condannato Arianna Magistri, per i reati di omicidio volontario e atti persecutori, alla pena di quindici anni e quattro mesi di reclusione. Ad assisterla, gli avvocati Lo Castro e Cardillo Cupo, mentre le parti civili (i familiari della vittima) sono state assistite dall'avvocato Dino Lucchetti.
I fatti risalgono al 14 giugno di quattro anni fa. Anna Lucia Coviello, 62 anni, viene trovata senza sensi, sdraiata in posizione supina, sul pavimento del primo livello del parcheggio multipiano di piazza del Municipio a Sperlonga. Accanto a lei c'è un'altra donna, che sarà poi identificata in Arianna Magistri. Coviello è ferita in modo grave, ha sbattuto la testa. Viene portata in ospedale, ma il 21 giugno il suo cuore cessa di battere.
Gli investigatori raccolgono una serie di testimonianze. Quella mattina nel multipiano ci sono diverse persone che sentono delle urla e un tonfo. Corrono a vedere cosa sia successo e la signora che tiene il capo di Coviello poi si allontana dicendo, secondo quanto dichiarato da alcuni testi, «mi è caduta addosso, mi ha spinta, chissà cosa si inventa adesso». Le indagini portano ben presto ad Arianna Magistri, collega della vittima. Un rapporto teso quello tra le due dipendenti dell'ufficio postale di Sperlonga, di cui i continui litigi per l'aria condizionata non sono che la punta dell'iceberg. In sentenza si menziona anche un opuscolo di Poste, depositato in atti, con scritte a penna realizzato dall'imputata (la Corte menziona una consulenza tecnica grafica che ha consentito di «attribuire inequivocabilmente la grafia» a Magistri) contenente delle annotazioni «di carattere ironico, con battute volgari a sfondo sessuale». Una situazione per Coviello insopportabile, tanto da informarsi sulla possibilità di usufruire del prepensionamento. Un contesto che per la Corte integra pienamente, da parte di Magistri, il reato di atti persecutori.


Si arriva al 14 giugno, quando la situazione precipita. Magistri – ricostruiscono i giudici – raggiunge la vittima e le sferra «un pugno fortissimo al viso, le dà una spinta facendola cadere all'indietro dalle scale e la vittima cade battendo con la testa sul piano finale della scala». Non una caduta accidentale né un ruzzolamento né una colluttazione; la Corte d'Appello ritiene queste ipotesi non compatibili con le risultanze delle numerose perizie effettuate. Per i giudici, la caduta «è dunque un evento agito e voluto dalla Magistri», «un evento dal quale necessariamente consegue l'evento morte». Un'azione che «dimostra concretamente la volontà di uccidere» e secondo la Corte «l'evento voluto, o del quale l'imputata ha accettato il più che probabile verificarsi, era la morte della vittima». «Magistri – sentenziano – ha voluto, nell'istante in cui ha spinto la vittima dalle scale, uccidere». In base a questa ricostruzione, i giudici hanno ritenuto configurato il delitto di omicidio volontario aggravato.