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La sentenza

Via Ombrone, Corisma condannata a pagare 800mila euro

Per la palazzina chiesero gli acconti anche dopo l’annullamento dei piani. La società dovrà risarcire 5 acquirenti

Via Ombrone, Corisma condannata a pagare 800mila euro

Uno dei simboli dei pasticci legati all'urbanistica e ingenerati dall’annullamento dei Piani particolareggiati nel maggio 2016, la palazzina di via Ombrone a Latina avviata e mai finita con decine di acquirenti rimasti senza appartamenti comprati sulla carta, incassa una sentenza importante sul fronte civile. Con decisione del 22 aprile scorso del giudice Pier Luigi De Cinti il tribunale di Latina ha condannato la società Corisma alla restituzione in favore di cinque acquirenti di quasi 860mila euro divisi tra 154mila euro, 96mila euro, 144mila euro, 200mila euro e 221.720,00 euro oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza e sino al saldo e oltre a 30mila euro di spese di giudizio. La causa era promossa da cinque acquirenti, tutti difesi dall’avvocato Dario Maciariello, contro Corisma nonché il Comune di Latina chiamato a garanzia da Corisma, difeso da Cinzia Mentullo, Armando Rigliaco all'epoca dei fatti commissario della polizia locale e difeso da Dino Lucchetti, e Giovanni della Penna dirigente del Servizio Edilizia Pubblica e Privata firmatario delle ordinanze di demolizione, difeso da Modestino D'Aquino.

Al centro delle contestazioni l'adempimento specifico dell’obbligo di concludere il contratto, la riduzione del prezzo, la restituzione delle somme e il risarcimento danni. La vicenda culmina a settembre 2016 con i sigilli all’edificio in costruzione da parte della polizia locale su un’area per la quale erano previste cubature nel piano particolareggiato tra i sei annullati dal commissario Barbato a maggio del 2016, poiché ritenuti irregolari, in quanto la variante era passata in Giunta ma non in Consiglio comunale. Una coda avvelenata della storia recente dello sviluppo urbanistico del capoluogo con diverse sentenze ma fino ad oggi nessuna che sia riuscita a risolvere il problema di completare una palazzina sulla carta divenuta abusiva.

Nella sentenza i giudici indicano la responsabilità a diverso titolo della Corisma «la quale, ad onta della delibera commissariale di sospensione della delibera della G.M. di approvazione della variante al P.R.G. (26 febbraio 2016) ed, ancor più, del suo successivo annullamento (24 maggio 2016), espressamente esteso anche gli atti “conseguenti” e “correlati”, continuò ad accettare gli acconti versati dal primo acquirente contravvenendo in tal modo al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto sancito, essendo, o dovendo essere, perfettamente consapevole che, in conseguenza dell’annullamento della delibera della giunta di approvazione della variante al p.p.e. relativo al Quartiere R 3 Prampolini nonché del premesso a costruire ad essa rilasciato, con conseguente sequestro penale del cantiere ed emissione dell’ordine di demolizione del manufatto in quanto ritenuto abusivo, il contratto preliminare non avrebbe potuto legittimamente trovare il suo naturale esito nella stipula del definitivo». Il giudice spiega che se fu antecedente alla sospensione il preliminare con gli acquirenti successivi ad esso furono i versamenti degli acconti ulteriori e che sarebbe, pertanto, stato obbligo della società restituire anche gli importi incamerati precedentemente alla sospensione della delibera incriminata perché «La nullità del contratto ne travolge, infatti, retroattivamente gli effetti».

«Per effetto, pertanto, della sopravvenuta nullità del preliminare - spiegano - in quanto avente ad oggetto un immobile successivamente divenuto abusivo, e della ritenuta responsabilità della Co.ri.sma. per inosservanza del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, debbono essere restituiti agli acquirenti tutti gli acconti». Sulla posizione del Della Penna, comunque estromesso dal giudizio, si rileva come abbia correttamente applicato l’art. 15, comma 4, del D.P. 380/2001, nell’ordinanza di demolizione del fabbricato di Via Ombrone trattandosi questo caso di “caducazione di disposizioni urbanistiche in variante di precedente disciplina, per effetto della ritenuta loro illegittimità da parte della stessa amministrazione che le aveva adottate”. Anche per Rigliaco non può essere ravvisata alcuna responsabilità restitutoria perché lo stesso, a fronte dell’annullamento, ad opera del commissario straordinario, della delibera di giunta «ha conseguentemente proceduto al sequestro penale del cantiere, misura, peraltro, confermata dalla Sezione del Riesame e, successivamente, dalla Cassazione».

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