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La storia

L’impronta legale di Riccardelli

Chi era il finanziere (dimenticato) che ha convinto Gaetano Vassallo a parlare con la Giustizia e a svelare la terra dei fuochi

L’impronta legale di Riccardelli

Ora è più facile, sì proprio adesso che l’opinione pubblica e la Procura si trovano davanti al pentito più importante di tutti, Francesco Schiavone, è più semplice dipanare il ruolo che tanti investigatori hanno avuto nel convincere boss di calibro e affiliati ad aiutare la giustizia. Uno di questi è un formiano dimenticato, un finanziere, l’uomo dello Stato che ha parlato per primo con Gaetano Vassallo. Quest’ultimo fino a qualche settimana fa era, appunto, il più importante pentito dei casalesi. Il finanziere che pochi conoscono, e ancora meno intendono ricordare, si chiamava Antonio Riccardelli, è morto a 58 anni ad agosto del 2015 e al suo funerale nella chiesa di San Giuseppe Lavoratore c’era uno squadrone di colleghi e magistrati; ma per il resto quel rito di addio fu anonimo e mai più se ne è parlato.

In questi giorni a tornare sulla storia e i meriti di Riccardelli è stato un giornalista, Nello Trocchia, perché ricorreva l’anniversario della morte di Roberto Mancini, un altro uomo dello Stato, un poliziotto che a furia di indagare sui veleni dell’agro aversano si è ammalato pure lui. Riccardelli, come Mancini e pochissimi altri, furono tra i primissimi investigatori a sollevare il velo su quella che poi sarebbe stata qualificata come la terra dei fuochi, oggi considerato il più grande sito contaminato d’Europa. In quella landa cosparsa di rifiuti tossici Antonio ci ha sempre lavorato ma non ci è mai andato a vivere, è rimasto sempre nella casa di Scacciagalline. Un pendolarismo, il suo, che in qualche modo gli fece capire quanto vicini fossero i due mondi dei veleni (a Caserta) e del riciclaggio dei proventi dei veleni (Formia e i dintorni). Senza Antonio Riccardelli e la pervicacia con cui riuscì a convincere Gaetano Vassallo a collaborare non avremmo saputo quasi tutto di ciò che sappiano della transizione che portò i casalesi dall’essere un clan che sparava ad un sodalizio che macinava milioni di euro con il business dei rifiuti interrati. Fu l’inchiesta denominata «Aima» infatti a produrre l’arresto di Vassallo e precedette di poco la collaborazione con la giustizia. Era il 2008, da quel momento le dichiarazioni del pentito sono diventate parte integrante di decine di processi per reati ambientali attuati con metodo mafioso.

Vassallo era proprietario di un’impresa per lo smaltimento dei rifiuti e per oltre vent’anni ha gestito l’affare degli sversamenti abusivi sotto la protezione del clan dei casalesi; per sua stessa ammissione in due decenni non ha mai operato con ditte che non fossero infiltrate dalla camorra e nessuna si è mai preoccupata dell’effetto che ciò avrebbe potuto avere sui residenti, cosa che invece si conosce bene oggi, visti tutti i casi di tumore e altre malattie gravissime che colpiscono i residenti di quel comprensorio. Tra le condanne a carico di Vassallo ce ne è una che riporta necessariamente a Formia, è quella per disastro ambientale al processo sulla discarica «Resit» di Giugliano (Napoli), uno degli invasi dove i peggiori imprenditori dei rifiuti hanno sepolto materiale tossico negli anni 90.

Per esempio Cipriano Chianese che con i ricavato di quel business, come ampiamente accertato, acquistò il complesso Marina di Castellone, da due anni passato nel patrimonio del Comune di Formia ma tuttora inutilizzato, per carenza di fondi e perché, tutto sommato, è un rudere al quale ci si sta abituando. Nessuno finora ha mai pensato ad un altro nome per quella struttura, ove e se mai verrà recuperata ad altri fini. Ma quello di Antonio Riccardelli ci starebbe bene oggettivamente.

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