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Strage di Cisterna, il pm: «Capasso è l’unica anima nera»

Ieri la lunga requisitoria del Pm Giuseppe Bontempo nel processo ai due medici che autorizzarono la restituzione dell’arma a Capasso pochi mesi prima della strage

Strage di Cisterna, il pm: «Capasso è l’unica anima nera»

«Questo è un processo tecnico, non ci sono delinquenti da giudicare, perché l’anima nera in questa storia è solo una, ed è Luigi Capasso». È con queste parole che ieri pomeriggio, alle 16.12, il pubblico ministero Giuseppe Bontempo ha aperto la sua lunga requisitoria nel processo per la strage di Cisterna, dinanzi al giudice Enrica Villani che vede imputati i due medici, Quintilio Facchini e Chiara Verdone che hanno firmato l'iter per riconsegnare la pistola di ordinanza a Capasso, arma con la quale mesi dopo ha fatto la strage di Collina dei Pini, a febbraio 2018. Per entrambi, il Pm ha chiesto due anni e sei mesi di reclusione.

Quanto ricostruito in aula dal Pm (ieri era presente anche l’unica superstite, Antonietta Gargiulo) è stata una sequenza lucida e brutale, quando il carabiniere sparò diciassette colpi con la sua pistola d’ordinanza: sei contro la moglie nel garage dell’abitazione, sei contro la figlia Alessia nella cameretta, tre contro Martina nel letto della camera matrimoniale. Un colpo raggiunse la finestra, mentre l’ultimo fu per sé stesso. «Ho fatto quello che dovevo fare», scrive quella mattina Capasso al fratello, subito dopo aver ucciso le figlie. Poi risponde anche al cellulare di Antonietta: dall’altra parte c’è un’amica della donna, invisa all’uomo perché considerata una minaccia. «È tutta colpa tua, bastarda. Sei contenta? Antonietta è in ospedale, le bambine sono morte, le ho ammazzate», le dice.

Bontempo ha ripercorso tutto, come quello del 4 settembre 2017, quando Capasso aggredì Antonietta fuori alla Findus, spingendola a terra davanti alle figlie e ai colleghi. Quel litigio proseguì in casa, culminando con la minaccia dei coltelli. Quell’azione portò all’esposto di Antonietta e al successivo iter, in quanto militare, di Capasso: il 10 novembre 2017 il ritiro dell’arma e della tessera identificativa. Poi il 21 novembre, il medico Facchini lo visita dando parere positivo alla sua valutazione. Il giorno dopo, Verdone, sulla scorta anche di quanto scritto dal medico di base, autorizza la riconsegna della pistola. Da quel momento passeranno quattro mesi dalla tragedia.

Il PM ha parlato di una “instabilità conclamata”, emersa in diversi momenti della vita di Capasso. Dalla lite violenta del 1996 in caserma, quando minacciò il suicidio, alla vacanza del 2001 a Gianola, terminata con i polsi tagliati. E ancora, la confessione di Antonietta al parroco don Livio, nel 2017, che parlava di “anni di violenze e pressioni”. Segnali, tanti, troppi, che secondo l’accusa dovevano essere raccolti, almeno da chi era intorno alla famiglia Capasso. La requisitoria si è chiusa alle 19.45. La prossima udienza è fissata per il 19 giugno, la terzultima, quando sarà il turno delle parti civili, ieri rappresentate in aula dall’avvocato Eleonora D’Angelo. Seguiranno poi le udienze del 26 giugno e del 10 luglio, quando sarà la volta delle difese, rappresentate dagli avvocati Orlando Mariani, Luciano Lazzari insieme a Carlo Arnulfo, dopodiché è prevista la sentenza.

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