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Il caso

Lutto laico, diritto negato e battaglia aperta

La parità di fronte alla morte è ancora lontana per l’assenza di spazi e informazioni

Lutto laico, diritto negato e battaglia aperta

Siamo tutti uguali dinanzi alla morte, o forse no. A Latina, ad esempio, le differenti esigenze commemorative legate a pluralità religiose, etniche e culturali, sono zone grigie in cui procedere a tastoni per riuscire a  trovare spazi e modi in cui celebrare la dimensione esistenziale di individui e rispondere così alla necessità di ricucire la ferita traumatica, tanto intima quanto interpersonale, che la disgregazione di un corpo genera. Suona paradossale, eppure il lutto nella sua enorme portata collettiva che vacilla tra distruzione e costruzione, crisi e rafforzamento del tessuto sociale, mette in difficoltà il senso delle "finzioni" culturali con cui pensiamo e organizziamo il mondo attraverso categorie che eleggono una maggioranza esclusiva ed escludente di soggetti altri, invisibili.

Quasi automaticamente, in Italia, il momento delle esequie è infatti rimandato ad un rito religioso anche se la persona per cui viene organizzato non lo era affatto. Un cortocircuito che evidenzia l’abisso tra noi e la laicità, sebbene sia in vigore una normativa che prevede l’apertura di spazi per i funerali civili, disposizione che non viene adottata da molti comuni influenzando chi non vuole una cerimonia religiosa a soluzioni sbrigative o di ripiego  benché non siano la cosa desiderata, né la più rispettosa o la più adatta. Tali difficoltà nell’organizzazione di un rito aconfessionale sembrerebbero legate tanto alla mancanza di informazione diffusa - sia tra le persone che nella categoria delle imprese funebri - quanto all'assenza di luoghi adatti che possano consentire ai cittadini di esercitare, come già previsto dall’ art.18 comma 2 del DPR 285/90, il diritto di «rendere al defunto le estreme onoranze». 

E mentre in altri Paesi europei le Sale del Commiato sono spazi sempre più diffusi, il Lazio, che si distingue per l’alto tasso clericale che ha caratterizzato l’agire di rappresentanti di istituzioni o di funzioni pubbliche, di luoghi neutri in cui costruire “qui ed ora” ritualità inedite ne ha veramente pochi. Nella fattispecie della provincia di Latina, giace tra le ceneri di quel sogno infranto che porta il nome di “laicità inclusiva”, la proposta del programma elettorale di Latina Bene Comune (sollecitata da persone non credenti anche a seguito del forte impatto sull’aspetto del lutto esercitato dal Covid) di poter adibire uno spazio a Sala del Commiato. 

A spiegare la questione è Damiano Coletta, Presidente della lista civica che ha portato per la prima volta il punto d’interesse in giunta comunale dopo anni di ostinate sollecitazioni provenienti dai cittadini. «Ogni società deve essere rappresentativa di tutte le istanze, per questo tra i nostri obiettivi c’ era quello di destinare uno spazio dedicato a tale finalità nel rispetto di una visione laica del lutto e della morte». Cosa è andato storto? «Il problema si è verificato nel pratico, quando è arrivato il momento di scegliere lo spazio da destinare. Inizialmente avevamo pensato all’Opera ma avrebbe dovuto adattarsi ad altre esigenze. C’era bisogno di un luogo interamente dedicato o che potesse quantomeno adattarsi ad altre necessità».

L’ex sindaco ricorda però un punto fondamentale: «la libertà di organizzare un rito laico c’è, si può fare anche privatamente. Il discorso è istituzionalizzare». Più facile a dirsi che a farsi. Non a caso infatti, gli individui del “non previsto”, lo spazio che separa “consentito” e “vietato”, sono anche quelli del “di volta in volta” perchè è di volta in volta che devono costruire strade percorribili scavando tra cavilli burocratici. Tale situazione è perfettamente illustrata da Patrizia Ciccarelli, l’allora assessora ai servizi sociali in Lbc: «La sala del museo Cambellotti e le sedi di partiti, ad esempio, sono state utilizzate per la celebrazione di questi riti ma sono opzioni decise all’ultimo secondo, per altro con qualche forzatura in quanto le agenzie funebri, non conoscendo le procedure, possono creare difficoltà» continua «Resta un nodo da sciogliere con urgenza perché la richiesta è consistente, bisogna regolarmentare nero su bianco per ufficializzare i diritti e stabilire un percorso noto a tutti al fine di restituire pari dignità alle pluralità esistenti».

Per ora l’organizzazione è tutta nelle mani dei familiari a cui non resta che celebrare le esequie nel piazzale del cimitero, modalità consentita dalle agenzie e dunque meno ostica di quanto potrebbe essere l’individuazione di luoghi altri (come la sede di un sindacato) dove l’iter potrebbe essere più complesso. Nel 2025 giocare a scacchi con burocrazie e permessi, quando si tratta di riconoscere istituzionalmente le diversità rispetto al fine vita, equivale per chi aderisce ad «un’etica laica della responsabilità nella vita affettiva e di impegno sociale, a sentirsi cittadini e cittadine di serie B». La voce da cui proviene questa affermazione è quella di Patrizia Amodio.

È dalla fine degli anni ‘70 che Patrizia conosce le difficoltà legate a tali modalità commemorative, una battaglia pluridecennale che «si deve giocare creando alleanze in cui si riconosce l’importanza di un Commiato. Se non si passa per il rito non si elabora la morte, e non si tratta di un favore che devono farci, è un diritto che abbiamo in qualità di cittadini e cittadine». Cosa ne è, dunque, del principio di laicità come fondamento della Costituzione? Cosa ne è della laicità inclusiva? Ridotta ad un’eccezione, è il privilegio concesso a personalità note, (ricordiamo il funerale di Enrico Berlinguer o a Italo Calvino, ma anche a Carmelo Bene, Indro Montanelli, Dario Fo, Franca Rame, Vittorio Foa, Mario Monicelli, Tullio De Mauro, o per rifarci a tempi più recenti Valeria Solesin).

Ma esiste anche altro. Esiste anche «la laicità intesa come base necessaria sul quale esprimere le personali differenze», esiste «l’idea di collettività e quella di “maggioranza” che sta per sopraffazione culturale», esistono persone che non hanno un luogo e chi ogni giorno lotta per integrare in un «tessuto coeso e pacifico» come la docente Anna Eugenia Morini da cui provengono queste parole che poi non sono nient’altro che un segno di comunità e civiltà. Parlare di laicità vuol dire raccontare la storia di Patrizia A., Anna Eugenia, Patrizia C., descrivere il corso di un fiume che percorre sentieri diversi e ostinati. Possibile che ‘sto fiume, nel suo naturale fluire nel mare, debba veder svanire la sua identità, la sua essenza? Disegniamo una mappa idrografica, facciamoci rete e chiediamoci dove sta andando questa città. Si chiude, si apre, va avanti, torna indietro? 
 

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