Il fatto
20.06.2025 - 12:00
Oggi alle 11,30 ci sarà l’abbattimento dello stabile ex Icos, primo passo verso il progetto di riqualificazione A Gonfie Vele, promosso dal Comune di Latina e dall’Ater.
Tutti lo chiamano ex Icos ma prima di diventare ex, almeno nelle intenzioni di chi volle tirarlo su sulla cinta della cosiddetta Mediana, l’attuale ecomostro in procinto di implodere era un progetto fatto e (non) finito della società che ne impiantò le fondamenta, la Icos srl per l’appunto.
Ricadeva sulla bisettrice edificabile stabilita nella zona del Centro Direzionale del Piano Regolatore Generale (quello di Piccinato datato 1972) e secondo la logica edilizia doveva ospitare uffici e locali commerciali. Quando iniziarono i cantieri alla fine degli Anni 80, Latina era nel pieno del suo slancio urbanistico soprattutto nel settore sud-occidentale, li dove erano sorti i quartieri Q4 e Q5 e prima che la nascita del Centro Commerciale Latinafiori (1996) e infine della Torre Pontina (2010) ridisegnasse la fisionomia architettonica di una zona strappata alla campagna.
Il Palazzo Icos, tra tutti quelli in agenda, aveva una caratteristica unica: si affacciava sulla più grande strada a lunga percorrenza della pianura, ragione per cui era praticamente impossibile ignorarlo senza condividerne lo stato di avanzamento lavori. Ma quando lo scheletro dell’edificio, con i suoi mastodontici sette piani, cominciò sinistramente ad adombrare la SR 148, la Longa Mano di Tangentopoli si abbatté anche sulla nascente costruzione, considerando che il settore edilizio e gli schemi clientelari di acquisti e concessioni immobiliari, che si trascinava dietro in una politica di confraternite, fu tra i più colpiti dall’inchiesta del secolo.
Un secolo che si chiuse con l’inevitabile fallimento dell’Icos, per il quale solo la successiva prescrizione salvò dalla condanna per bancarotta infausti protagonisti della vicenda, mentre quello nuovo esordì con l’evitabilissima scelta da parte del Comune di acquistare l’ormai rudere, al fine di accasarci la Guardia di Finanza, liberando Palazzo M per destinarlo all’Università. Un gioco delle tre carte costato nel 2003 la cifra considerevole di 2 milioni e 500 mila euro nel corso di un’asta dai contorni anch’essi poco chiari, con continui e spericolati giochi al rialzo frutto di speculazioni che costrinsero l’acquirente a sborsare eccedenze non preventivabili.
Dopodiché il buio, il ritiro dell’Università dal baratto immobiliare e lo spettro del Palazzo mai nato rimasto per anni ad aleggiare sulle teste di tutti, automobilisti in transito, cittadini, politici coinvolti, biglietto da visita di una classe dirigente capace solo di ipotizzare e di spendere ma non di realizzare. Ora grazie al Pnrr e all’Ater l’occasione di abbattere tutto, magari anche i pregiudizi.
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