L'intervista
30.06.2025 - 20:15
Il procuratore aggiunto Luigia Spinelli
È tornata a Latina come procuratore aggiunto dopo una parentesi importante e formativa presso la procura antimafia a Roma. Ma il realtà la provincia pontina non l’ha mai abbandonata. Non solo perché qui vive ma soprattutto perché molte delle più importanti indagini svolte sul territorio provinciale negli ultimi anni portano la sua firma, quella di Luigia Spinelli.
Dottoressa Spinelli, dopo molti anni lei torna di nuovo a Latina, come procuratore aggiunto. Come ha trovato la città dopo questi anni di lavoro a Roma?
«In realtà io Latina non l'ho mai abbandonata, nel senso che anche quando io ho chiesto e ottenuto il trasferimento alla Procura della Repubblica di Roma ho comunque continuato ad occuparmi del territorio pontino e del sud pontino, facendo parte della Direzione Distrettuale Antimafia che ha una competenza su tutto il distretto della Corte d’Appello di Roma. Quindi questo territorio è stato sempre oggetto del mio lavoro con riferimento ai reati di criminalità organizzata, associazione di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni aggravata dal metodo mafioso, traffico illecito di rifiuti. A Roma è stata in qualche modo valorizzata la mia pregressa conoscenza del territorio, avendo lavorato presso la Procura di Latina sin dal 2001, e quindi sono stata assegnataria di numerosi procedimenti relativi alla Provincia di Latina e, più in generale, al sud pontino».
È uscita arricchita professionalmente da questa esperienza romana?
«Molto arricchita. Devo dire che è stata un'esperienza formativa. Ho ottenuto il trasferimento a Roma nel 2018, quindi avevo già parecchi anni di carriera alle spalle, ma comunque questo cambiamento è stato formativo sia a livello professionale sia a livello umano. Mi sono confrontata con magistrati di grandissima esperienza e con personale di polizia giudiziaria di elevatissimo spessore e quindi devo dire che sono rimasta anche un po’ dispiaciuta quando ho lasciato l'ufficio. È vero che l'ho fatto perché la mia aspirazione era quella di ritornare a Latina con un incarico semidirettivo, però comunque il distacco è stato doloroso, non posso negarlo».
Quando si è insediata lei ha detto una frase molto particolare, cioè “la mia porta sarà sempre aperta ai cittadini per le denunce”. Ha trovato riscontro in questo? I cittadini denunciano?
«No, non ho avuto un particolare riscontro e mi dispiace perché ritengo, invece, che siano molte le cose da potere denunciare. Ho riscontrato nella mia carriera che alcune tipologie di reati, in particolare usura, estorsione, corruzione, concussione, difficilmente emergono a seguito di una denuncia sporta dal cittadino o comunque dalla persona offesa o da chi si ritiene leso da determinate condotte. Sono reati che spesso emergono nell'ambito di altre attività di indagine, prevalentemente nel corso di attività tecniche, e che successivamente vengono approfonditi. Nei settori che ho citato, procedimenti che prendono il via da denunce di cittadini sono molto rari, purtroppo. Perché succede? Sicuramente c’è paura da parte dei cittadini. Lo Stato non chiede al cittadino di essere “un eroe”. È la giustizia che deve fare il suo lavoro, tutelare il cittadino e non farlo esporre più del dovuto, e tuttavia il cittadino deve fare la sua parte. Però evidentemente c'è questo timore e forse un po’ di sfiducia».
Un ruolo importante nelle indagini, da diversi anni, lo hanno avuto i collaboratori di giustizia. Ritiene siano fondamentali per portare avanti un certo tipo di indagini e per far emergere un certo tipo di reati?
«Senza entrare nel merito dei singoli collaboratori di cui mi sono occupata, anche perché oramai ho cambiato ufficio giudiziario, in generale posso dire che la normativa sui collaboratori di giustizia è stata una normativa importantissima, promossa da Giovanni Falcone, fondamentale per la lotta alla criminalità organizzata. La necessità di tutelare chi collabora con la giustizia lo Stato l’ha avvertita fortissima, perché non si può abbandonare chi aiuta lo Stato. Comprendo la critica che astrattamente si può muovere alla normativa sulla collaborazione, nel senso che è una normativa che potrebbe essere strumentalizzata, prevedendo vantaggi per chi collabora e per i familiari, sconti di pena, benefici penitenziari e sostegno economico. Va però sottolineato che le dichiarazioni del collaboratore devono essere precise, devono avere il carattere della novità rispetto alle conoscenze della magistratura, devono avere il carattere della completezza. Il collaboratore deve innanzitutto parlare degli eventuali reati commessi da lui stesso e dai familiari, dei beni che ha conseguito nel corso della sua attività criminale, deve aiutare lo Stato ad effettuare sequestri dei profitti illeciti. In più le dichiarazioni del collaboratore devono essere riscontrate e il riscontro deve essere individualizzante, sicchè vige una regola processuale di acquisizione e di valutazione probatoria che è molto stringente. Solo con la dichiarazione del collaboratore è impossibile sostenere l’accusa».
Negli ultimi mesi abbiamo assistito al primo caso di scioglimento di un comune in provincia di Latina per infiltrazioni mafiose, il comune di Aprilia. Un'indagine molto particolare che ha cercato di dimostrare l'esistenza di un clan autoctono all'interno della città. La presenza della criminalità organizzata, i loro appetiti sulle amministrazioni pubbliche, sono ancora un tema caldo per la provincia di Latina?
«Premesso che il procedimento cosiddetto “Assedio” è ancora in primo grado e quindi vige la presunzione di innocenza, quel procedimento ha costituito la base per l’invio di una Commissione di Accesso presso il Comune in ragione di presunte infiltrazioni mafiose nell’amministrazione comunale. All’esito degli approfondimenti della Commissione il Consiglio dei Ministri ha deliberato di sciogliere il Comune per infiltrazioni mafiose. Vi sono stati, quindi, degli accadimenti che depongono nel senso di un pericolo concreto di infiltrazione della criminalità organizzata nella provincia di Latina e, peraltro, nel tempo sentenze passate in giudicato hanno riconosciuto l’esistenza di clan mafiosi autoctoni nel territorio pontino e nei territori limitrofi. Le organizzazioni criminali che insistono sul territorio laziale e anche nel sud Lazio, sono organizzazioni molto forti, dispongono di armi, dispongono di uomini e hanno una profonda capacità di controllo del territorio per quanto riguarda le attività criminali. Controllare il territorio significa anche controllare le piazze di spaccio e tutte le connesse attività delinquenziali come usura, estorsioni, reimpiego dei profitti illeciti derivanti prevalentemente dal traffico di stupefacenti. E quando parliamo di stupefacenti parliamo essenzialmente di cocaina, una sostanza che circola in maniera molto diffusa e che ha un mercato molto vasto».
E gli appetiti delle organizzazioni criminali sul traffico della droga sono sempre altissimi.
« Esatto e si verificano scontri violenti, anche armati, proprio per gli elevatissimi interessi economici in gioco. Poi, una volta che le organizzazioni criminali conseguono i profitti illeciti hanno necessità di impiegarli. E allora è il momento del riciclaggio e del reimpiego del danaro. È questo uno dei momenti più delicati per la collettività, perché impiegare il danaro provento di attività illecita significa avviare attività imprenditoriali, significa incidere sul territorio in una forma apparentemente legale ma in realtà profondamente inquinante delle regole del mercato. Chiaramente una cosa è avviare un'attività commerciale, un ristorante, un albergo con risorse legali, altra cosa invece è impiegare risorse di provenienza illecita; la modalità di gestione è completamente diversa. Bisogna poi tenere conto del fatto che per avviare attività nei vari settori imprenditoriali sono spesso necessarie interlocuzioni con gli uffici comunali e, più in generale, con la pubblica amministrazione e quindi il cerchio di possibile influenza della criminalità comincia ad allargarsi, insinuandosi nei gangli della pubblica amministrazione. Il problema molto forte che si avverte sui territori di cui mi sono occupata è la presenza di una criminalità organizzata forte che incide su tutti gli aspetti della vita della collettività, condizionandoli».
Ad Aprilia e Fondi, dopo importanti operazioni anti criminalità, assistiamo ad episodi criminali nuovi, spesso molto allarmanti. Cosa sta accadendo? Ci sono nuovi appetiti criminali che provano a farsi largo?
«Temo di sì. Assistiamo ad episodi gravi in queste città, apparentemente scollegati e privi di una giustificazione. Tuttavia potrebbero ricollegarsi a dinamiche più ampie, riconducibili a gruppi organizzati che hanno come obiettivo quello di occupare il territorio e di controllarlo».
Raccontando ogni giorno questa provincia ci troviamo spesso a scrivere dei reati legati al Codice rosso e abbiamo la sensazione che siano in estrema crescita. Anche la Procura ha questa sensazione?
«Le notizie di reato in materia di codice rosso sono numerosissime. È un fenomeno veramente allarmante. Posso dire che noi giornalmente abbiamo circa dieci notizie di reato di codice rosso in media, tra maltrattamenti, atti persecutori, lesioni».
Secondo lei sono cresciuti oppure sono aumentate le persone che li denunciano questi reati?
«Mi pongo spesso la domanda se il numero elevato delle denunce sia legato ad un aumento effettivo dei casi, oppure se le condotte maltrattanti e vessatorie siano sempre esistite nella medesima misura e oggi semplicemente le donne, ma anche gli uomini, perché ci sono dei casi di maltrattamenti di donne nei confronti degli uomini, hanno maggiore coraggio nel parlare e denunciare. Diciamo che un ruolo positivo importante lo ha quella struttura che negli anni si è creata, una struttura di protezione, una rete di protezione, un sistema che tranquillizza il denunciante, che lo fa sentire sicuro. Devo dire che la Procura si è dotata di una struttura adeguata a reggere questo carico di denunce perché abbiamo un pool di magistrati nutrito che si occupa di codice rosso, un ufficio di polizia giudiziaria appositamente dedicato a questi reati».
Ecco a proposito di personale, qual è la situazione nella procura di Latina?
«Non siamo a pieno organico però nei prossimi mesi è previsto l’arrivo di tre colleghi, un magistrato a settembre e due magistrati di prima nomina a dicembre. Sono innesti certamente positivi che permetteranno di organizzare ancora meglio il lavoro. Anche se, me lo lasci dire, qui a Latina siamo ben organizzati avendo impegnato adeguatamente le risorse disponibili, in modo da poter procedere bene>
Quali sono i reati su cui lavorate maggiormente in procura?
«Devo dire che le notizie di reato che maggiormente giungono alla mia attenzione attengono alla criminalità comune: molti furti, molte rapine, lesioni, porto e detenzione di armi. In particolare mi preme sottolineare i tanti furti in abitazione che sono tra i reati maggiormente “sentiti” dalla popolazione, perché si tratta di reati tra i più invasivi che esistano. E per questo colgo l’occasione di questa intervista per dire che ho riscontrato una carenza di telecamere in città. Alcune zone secondo me dovrebbero essere monitorate meglio. Ci sono complessivamente poche telecamere e alcune di esse spesso non funzionanti. Questi strumenti potrebbero aiutare molto a livello investigativo, ma soprattutto a livello preventivo, e certamente non le possiamo installare noi in maniera preventiva».
Un altro reato molto sentito dai cittadini sono le truffe
«Esatto, è un tema importante. Spesso le vittime sono persone anziane, quindi fragili e più facilmente raggirabili. Moltissime sono le truffe consumate attraverso internet o tramite messaggi inviati con telefono cellulare, ma numerose sono le truffe messe in atto anche in presenza. Mi lasci dire che in questo senso giudico molto positivo il recente decreto sicurezza, ormai convertito in legge, che ha elevato la pena della truffa nei confronti di soggetti deboli tanto da consentire l’arresto in flagranza. E poi ora il reato è procedibile d’ufficio non più a querela. Perché spesso la persona anziana neanche è in grado di poter muoversi per andare in un ufficio di polizia. Dunque ho valutato positivamente questo provvedimento».
A un anno dalla morte di Satnam Singh qual è la situazione del caporalato in provincia di Latina?
«Negli ultimi tempi è stato realizzato un protocollo tra la Procura di Latina e le varie forze di polizia proprio per agevolare l'emersione del fenomeno e consentire l'approfondimento investigativo. Ma come ho avuto modo di dire già in passato, la risposta repressiva non basta, bisogna prevenire. Perché quel che è accaduto nella vicenda che ha visto come vittima Satnam è figlio di un problema più ampio. Penso altresì che la prevenzione sia importante, anche con le multe perché vanno pagate subito e incidono sull'economia aziendale. Ma bisogna uscire dall’ipocrisia: il costo del lavoro è molto alto e vano aiutati gli imprenditori magari prevedendo degli sgravi o delle agevolazioni, in modo tale che ci siano incentivi a regolarizzare le posizioni».
Ultimamente scriviamo molto spesso di episodi criminosi o comunque di fatti preoccupanti che hanno per protagonisti i minori. Cosa sta succedendo?
«Ovviamente di questa tipologia di reati si occupa la procura per i minori. Tuttavia ho avuto modo di constatare che spesso nelle risse vengono coinvolti minorenni. C’è in generale una escalation di violenza minorile abbastanza preoccupante e io temo che questa escalation sia collegata ad un maggiore uso di sostanze stupefacenti anche da parte dei minori. In particolare la cocaina, che slatentizza i freni inibitori. Farne uso, procurarsela, fa poi entrare il minore in contatto con tutto un mondo dello spaccio che è gestito dalla criminalità. Un mondo violento, che mette a serio rischio la formazione dei minori».
Una domanda più alla donna Luigia Spinelli che non al magistrato. Che cosa sta leggendo in questo periodo? Che cosa le piace in particolare?
«A ma piace molto leggere e attualmente sto leggendo Dracula di Bram Stoker, però i miei gusti sono diversi, nel senso che mi piace moltissimo Dostojeskij, la letteratura russa. Quindi l'ultimo libro che ho letto di Dostoevskij è stato “I fratelli Karamazov.”; ho letto di Dostojeskij anche “i Demoni”, “Delitto e Castigo”.Mi piace molto Tolstoj. Rileggo spesso i classici. Ho riletto recentemente “I promessi sposi” e “Don Chisciotte” di Cervantes»
C’è stato un motivo particolare per cui ha deciso di intraprendere la carriera di magistrato?
«Io sono entrata in magistratura molto giovane, a 25 anni, dopo essermi laureata in Giurisprudenza all’Università “La Sapienza “ a Roma. Una volta completati gli studi il mio desiderio era di conquistare la mia autonomia anche economica, essendo peraltro l’ultima di quattro figli nati nell’arco di cinque anni e ognuno di noi avvertiva la necessità di non “pesare” sulla famiglia. Il desiderio di entrare in Magistratura è nato nel corso dell'università, non prima. Ho frequentato il liceo classico a Lamezia Terme ed all’epoca immaginavo studi di filosofia, di letteratura, invece poi ho cambiato idea. La facoltà di giurisprudenza mi ha proiettata nel mondo della legge e ho maturato il desiderio di diventare magistrato, ma non ero, per così dire, orientata solo su questo obiettivo; ho valutato questa scelta professionale insieme ad altre. Ma è stato certamente un percorso voluto».
Quali sono stati il momento più difficile e quello più bella della carriera fino a oggi?
«È una domanda un po’ difficile. I momenti belli della mia carriera sono quei momenti in cui io mi rendo conto che il mio lavoro è stato utile. Quando ho la percezione di aver svolto un servizio per la collettività mi sento soddisfatta. Al contrario i momenti di sofferenza sono quelli in cui avverto la frustrazione di avere compreso un fenomeno e di non essere riuscita a ad arrivare, per così dire, “a dama”».
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