Sussiste un conclamato stato di inquinamento ambientale del terreno della ex Pozzi Ginori, noto fin dal 2003. La responsabilità penale è stata riconosciuta a carico di Giovanbattista Saleri, 62 anni, di Brescia, amministratore unico della Sviluppo Immobiliare srl, che è stato condannato a due anni e due mesi di reclusione, più il pagamento di una multa di 15 mila euro e l’ordine di procedere al recupero e al ripristino dello stato dei luoghi. Le motivazioni della sentenza pubblicate in questi giorni non solo ricostruiscono il percorso processuale che ha portato alla condanna dell’unico imputato di una vicenda che, comunque, appare assai più complessa di quanto emerso finora, ma ripercorre anche uno spaccato di storia ambientale della città, lungo oltre venti anni. Saleri, difeso dall’avvocato Giorgio Luceri, era accusato di aver creato nella ex fabbrica una discarica abusiva mediante l’abbandono indiscriminato di rifiuti speciali, pericolosi e non, tra cui terre e sabbie di fonderia; in tal modo aveva «cagionato o contribuito a cagionare una compromissione o comunque un deterioramento significativi delle acque sotterranee... su cui insistono gli ex stabilimenti della Pozzi-Ginori».
L’incipit
I fatti furono accertati ad aprile 2016 e si ritiene che la contaminazione continui ancora oggi. Al processo, iniziato quasi cinque anni fa, si sono costituiti parte civile sia il Comune di Latina, tramite l’avvocato Francesco Cavalcanti, che la Provincia, attraverso l’avvocato Claudia Di Troia. L’area su cui si è indagato, come è noto, si trova a Borgo Piave e si estende su circa dieci ettari, da marzo 20024 appartiene alla Sviluppo Immobiliare srl e risulta dismessa dal 1987, anno in cui è cessata la produzione di ceramiche. Il primo allarme scatta nell’aprile del 2015, quando la questura e l’Arpa effettuano un primo sopralluogo e viene scoperta una discarica dove c’è di tutto, dalle carcasse dei tetti in eternit a pezzi meccanici di vetture rubate, la portineria era stata trasformata in una stalla per cavalli, si presume, da alcune famiglie della zona, mentre un’altra parte della fabbrica veniva già allora utilizzata come dormitorio di fortuna da senzatetto. Ma quel che preoccupava di più i tecnici dell’Arpa era l’accumulo delle sabbie di fonderia nel terreno, perché ciò avrebbe potuto compromettere le falde, cosa che poi effettivamente è avvenuta ed è in corso. Lo stato di contaminazione viene confermato dalle analisi del 13 maggio del 2016.