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Il fatto

Satnam Singh, Lovato: "È morto, dove lo butto?"

La testimonianza di un indiano che ha parlato al telefono con l’imputato poco dopo l’incidente sul lavoro. «Mi ha detto dove lo butto e io dicevo di chiamare l’ambulanza»

Satnam Singh, Lovato: "È morto, dove lo butto?"

«Aiutami questo è morto, è finito, dove lo butto? Questa frase mi è stata detta al telefono da Antonello Lovato poco dopo l’incidente. Me lo ha passato al telefono un mio connazionale che non parlava italiano ed era con lui. Io dicevo di chiamare una ambulanza. "Siamo con te non ti preoccupare siamo con te se chiami l’ambulanza si salva, non ti preoccupare", gli dicevo. Lui era impaurito». È il passaggio più importante nella testimonianza del processo per la morte del bracciante agricolo indiano Satnam Singh, che vede imputato il suo datore di lavoro, Antonello Lovato, accusato di omicidio volontario con il dolo eventuale.

La deposizione è di un uomo indiano che preferisce mantenere l’anonimato. Era agitato anche lui quando ha ricostruito i fatti. Ieri davanti ai giudici della Corte d’Assise di Latina - presidente Gian Luca Soana, a latere Mario La Rosa e alla giuria popolare - sono sfilati diversi testimoni: dal medico legale Cristina Setacci ad alcuni indiani, tra cui anche dei colleghi di Satnam, ad un carabiniere dell’Ispettorato del Lavoro. In oltre cinque ore l’elemento più significativo è stata la dichiarazione dell’uomo di origine indiana che quel pomeriggio ha parlato per una manciata di secondi con Lovato ed era stato ascoltato già a sommarie informazioni dal magistrato inquirente, il pubblico ministero Marina Marra.

Ha confermato quanto dichiarato in un verbale del 5 agosto del 2024: «Ho sempre fatto presente che dovevano chiamare l’ambulanza - ha ripetuto - ho pensato che l’avessero portato in ospedale e io dicevo al telefono “Non ti preoccupare, non muore, chiamate l’ambulanza”, ricordo questo».

Nella seconda parte del processo ha deposto un collega di Satnam. Ha spiegato di aver smesso di lavorare il 17 giugno del 2024, il giorno dell’incidente. «Il giorno dopo non sono andato, mi sono spaventato. Ricordo il giorno dell’incidente che ho visto passare in via Genova il furgone che andava veloce ma sentivo gli strilli e i pianti della moglie di Satnam». In aula è stata ricostruita tutta la sequenza di quel drammatico pomeriggio del 17 giugno del 2024. Dall’allarme all’arrivo di Satnam davanti casa in via Genova a Borgo Bainsizza. Si è perso tempo prezioso. Satnam Singh si poteva salvare. Lo ha ribadito in poco più di due ore, confermando pienamente quanto riportato nella consulenza in fase di indagini preliminari, il medico legale Cristina Setacci che ha eseguito l’autopsia.

«La morte è stata causata da uno choc emorragico e con cure tempestive si sarebbe salvato. Un intervento di soccorso immediato poteva produrre un successo terapeutico e salvare la vita a Satnam. Si è perso tempo - ha sottolineato il medico legale - se in trenta minuti si arrivava al Pronto Soccorso di Latina si poteva bloccare l’emorragia e sarebbe stato l’ideale. La condizione di Satnam all’arrivo dell’eliambulanza era peggiorata perché era trascorso del tempo. Anche il trasporto su un mezzo come il furgone non è stato utile, non è stata una modalità adeguata. La genesi dello choc emorragico - ha osservato - è stata provocata dall’amputazione del braccio destro». Il pomeriggio del 17 giugno del 2024 l’eliambulanza che soccorre Satnam atterra in via Genova alle 17,09 e il personale compie una serie di manovre, a seguire l’arrivo al San Camillo di Roma, le condizioni sono gravi, in ospedale viene sottoposto ad un intervento e il decesso avviene la mattina del 19 giugno alle 10. Questo è quanto è successo. Quando Lovato parla con l’uomo indiano al telefono dicendo che era morto Satnam, era vivo e come ha spiegato il medico legale con un intervento tempestivo si sarebbe salvato. Questa la ricostruzione dell’accusa, la difesa ha sottoposto il consulente ad un lungo controesame. Il processo riprende il 2 dicembre per ascoltare altri testimoni.

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