Il fatto
10.12.2025 - 07:00
«Ho capito che la situazione era davvero grave quando il maresciallo mi ha detto che dovevo annullare un dibattito già programmato al centro sociale. Era un evento contro la violenza sulle donne, a novembre 2023. Poche ore prima i carabinieri pur non dandomi dettagli mi dissero che doveva essere annullato, così sabotammo il quadro elettrico e... via non se ne fece più nulla. Un anno dopo ho letto sui giornali che quella sera poteva esserci un attentato mentre la sala era piena di gente. Ci sono rimasto molto male perché io pensavo che a Lenola queste cose fossero impossibili. I ragazzi che avevano organizzato quell’evento da che erano molto arrabbiati con me, poi sono venuti ad abbracciarmi».
La voce del sindaco di Lenola trema, l’aula uno del Tribunale è attraversata dal silenzio. Ed è questo il passaggio più duro delle dichiarazioni di Fernando Magnafico, che per quasi quattro ore, ieri, si è sottoposto al lungo esame del pm Valentina Giamaria e al controesame delle difese e della parte civile che rappresenta il Comune nel processo per l’attentato del settembre 2023. Al primo cittadino di Lenola hanno bruciato la macchina parcheggiata sotto casa e un vicino disse nelle ore immediatamente successive di aver visto un ragazzo fuggire in sella ad un motorino ma non si mai saputo chi fosse.
«Che era doloso lo avevo capito, certo», ha detto in aula il sindaco di uno dei centri più piccoli della provincia di Latina che, però, in quell’estate del 2023 visse fasi turbolente, in parte emerse proprio nel corso della discussione di ieri davanti al collegio presieduto dal giudice Gian Luca Soana. Vincenzo Zizzo, imputato per attentato a corpo politico, era in aula mentre Magnafico parlava di un paese dove tutti sanno tutto di ciascuno: «Molti cittadini si venivano a lamentare con me. Si sentiva parlare di un giro di spaccio e questo per Lenola era una brutta cosa... Quando mi hanno bruciato l’auto sono stato sentito dai carabinieri e mi hanno chiesto se c’era stato qualche problema legato al mio ruolo amministrativo. Mi pareva di no. Nei mesi successivi ho fatto fatica a mettere insieme i pezzi... Conosco Vincenzo Zizzo, era un buon imprenditore, il Comune si serviva da lui per alcune forniture.. qualche tempo fa c’è stato un problema per un terreno che il Comune aveva acquistato per poter ampliare il cimitero, era un bosco e il contratto prevedeva che la legna andasse ai proprietari; poi, un giorno, questi mi chiamano e dicono che qualcuno aveva tagliato le piante su quell’area comunale ed era stato Zizzo, io non sapevo nulla. Una sera ci incontrammo in paese e Vincenzo Zizzo mi disse: “...tu mi hai denunciato alla Forestale”». Lo stesso sindaco a domanda del pubblico ministero ha aggiunto che, sempre nel 2023, c’era stato un problema per l’assegnazione del chiosco pubblico in località Il Colle cui aspiravano Vincenzo Zizzo e Pasquale Spirito, i quali avrebbero voluto subentrare nella società che lo gestiva, il cui titolare invece consegnò le chiavi all’ente e ci fu in seguito un ulteriore bando, andato peraltro più volte deserto fino alla recente assegnazione ad una società del posto.
Quel che è emerso dalle dichiarazioni del sindaco è la fotografia di una realtà solo in apparenza rurale e tranquilla, dove nei mesi che precedettero e seguirono l’attentato la paura affiorava dietro ogni angolo. Lo stesso Magnafico ha raccontato di aver ricevuto in Comune la visita dell’uomo che accompagnò Zizzo e Spirito a fare il sopralluogo per capire come bruciare l’auto, fecero anche un video, e questi avrebbe confessato che non ci voleva andare e che «gli avevano tirato un tranello con la scusa di andare a prendere un aperitivo». Zizzo in quello stesso periodo aveva avuto un problema con un contestato abuso edilizio e il vicino che denunciava l’esistenza dell’abuso dopo l’attentato andò in Comune e disse al sindaco: «... fanno bene a incendiarvi le macchine... voi li proteggete...».
L’udienza fiume di ieri è iniziata con la surreale deposizione di un infermiere che aveva dichiarato ai carabinieri di essere in debito con Zizzo per acquisito droga e che era stato minacciato qualora non avesse saldato un debito. Ieri invece ha sostenuto di essere amico di Zizzo e di aver fatto con lui «qualche serata», includendo il consumo di droga. Ma l’uomo ha negato di aver mai comprato cocaina da Zizzo e che i soldi che gli versò (mille euro) erano per pagare le crocchette per i cani di famiglia. Negli atti «crocchette» viene considerato il termine in codice per indicare la cocaina ma il testimone pur apparendo poco credibile ha insistito nel dire che lui ha sempre e solo acquistato cibo per i cani al negozio di Zizzo e talvolta passava da casa solo perché erano amici e ordinava il prodotto che poi ritirava al negozio.
Nel processo sono imputati anche l’albanese Muco Riza e Pasquale Spirito per il filone dello spaccio di droga, mentre la posizione più delicata è quella, appunto, di Vincenzo Zizzo, detenuto in carcere, difeso dagli avvocati Giulio Mastrobattista e Atena Agresti che hanno controesaminato il sindaco chiedendo se vi fossero veleni politici pregressi.
Il Comune di Lenola è parte civile, rappresentata dall’avvocato Walter Marrocco. Si torna in aula il 10 febbraio prossimo e sarà sentito anche il collaboratore di giustizia Salvatore Iannicelli, le cui dichiarazioni sono state di recente base per altri procedimenti per droga.
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