«Il Giardino di Ninfa sta morendo, pure la sua sorgente è quasi morta e non capisco perché nessuno ancora se ne sia preoccupato. Per me invece è una situazione disperante senza precedenti negli ultimi 50 anni». Con la voce appena percettibile da direttore del Monumento naturale Giardino di Ninfa, uno dei più famosi al mondo, Lauro Marchetti sta facendo la denuncia pubblica di una catastrofe annunciata e ignorata insieme, consumata a due passi da Latina nel bel mezzo di un'estate in cui si pensa a tutto, dai nomi delle strade alle prossime elezioni, tranne che al rischio di perdere Ninfa e il suo splendore. In fondo a questa oasi verde non è successo di diverso da ciò che è avvenuto nel resto della provincia di Latina: una gestione dissennata e costosa della risorsa idrica ha portato, con la siccità di quest'anno, ad emungere le sorgenti fino allo sfinimento. Infatti a monte della sorgente del Giardino di Ninfa esistono effettivamente dei pozzi realizzati dalla ex Cassa per il Mezzogiorno, poi passati alla Regione, quindi dati in concessione ad Acqualatina spa. Come tutte le altre sorgenti attive sono stati sottoposti a maggiore captazione per cercare di tenere comunque un livello accettabile dei serbatoi e quindi per continuare ad approvvigionare sia le utenze civili che quelle per l'agricoltura che in questa zona è particolarmente sviluppata (oltre che molto in difficoltà da almeno due mesi). L'emungimento dei pozzi di Ninfa però non è libero, bensì regolato da un protocollo stipulato in Prefettura tra la Fondazione che gestisce il Monumento Giardino di Ninfa e la Casmez, risalente appunto all'epoca in cui la Cassa per il Mezzogiorno ancora esisteva e che poi è stato ereditato da Acqualatina. In quel protocollo sono stati fissati i limiti massimi dell'emungimento che non si possono superare proprio a tutela della vita del Giardino sottostante. Al momento nessuno sa o ha controllato se quei limiti sono stati superati a causa della crisi idrica e n el caso se siano stati autorizzati.