Operazione Las Mulas, ecco da dove tutto è cominciato. La complessa ed articolata attività investigativa ha permesso di accertare l'esistenza di una fitta rete di spacciatori operanti tra Latina ed Aprilia, i quali si rifornivano della sostanza stupefacente direttamente da trafficanti internazionali colombiani, che avevano il compito di far giungere la cocaina in Italia attraverso canali e modalità ben collaudati, ha preso avvio in seguito all'arresto di Paolino Cenci, trovato in possesso di circa 12 grammi di cocaina. Il soggetto in questione si riforniva, così come puntualmente delineato dalle attività di indagine, presso l'esercizio commerciale "Tempotest - punto tende", gestito da Marco Zuppardo, attinto dalla misura cautelare in parola.
Le indagini successive sono state orientate ad individuare le fonti di approvvigionamento di Zuppardo e degli altri soggetti organici alla rete di pusher a lui riferibile. I mirati servizi di osservazione, svolti anche con l'ausilio di presidi tecnologici, hanno permesso di stabilire che il gruppo si riforniva da Dimitri Montenero, incensurato, figlio di Nino Montenero, pregiudicato per rapina, omicidio, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, attualmente detenuto. In particolare, il Dimitri Montenero è risultato in contatto con il cittadino colombiano Gonzalez Diaz Cristian Javier, che, attraverso la sua rete di collegamenti con il paese di origine, faceva giungere consistenti quantitativi di cocaina dal Sud America. Il colombiano, con la compartecipazione della madre Liliana Gonzalez Preciado, teneva i contatti con i trafficanti sudamericani ed effettuava importazioni di cocaina direttamente dalla Colombia. Il denaro necessario all'acquisto dello stupefacente veniva inviato in Sudamerica attraverso alcuni operatori di trasferimento monetario internazionale dall'agenzia "Latin Service" ubicata a Roma. La droga, proveniente dalla Colombia, giungeva in Italia solo dopo aver fatto tappa in un aeroporto spagnolo, al fine di eludere i più stringenti controlli di frontiera e doganali in Italia.
Alcune donne colombiane, definite dai trafficanti "las mulas",  provvedevano alle singole operazioni di trasporto, ciascuna di circa grammi 250 di cocaina, occultando lo stupefacente, foggiato a cilindri avvolti in comuni profilattici, all'interno della cervice vaginale.