Era stato licenziato in tronco da Acqualatina. La società lo aveva fatto pedinare da un' agenzia investigativa perché nutriva dei dubbi sul suo lavoro. Contro il provvedimento il lavoratore aveva opposto ricorso. La Corte d'Appello di Roma con sentenza emessa nell'aprile del 2016, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva respinto il ricorso in primo grado dell'ex dipendente F.R. di Castelforte, e residente a Formia, volto ad impugnare il licenziamento disciplinare intimato nel marzo del 2009.
I giudici della Corte Suprema di Cassazione - sezione lavoro - ai quali si è rivolto l'ex dipendente, hanno invece accolto i motivi del ricordo e cassato la sentenza impugnata. In particolare i giudici hanno ritenuto inutilizzabili la documentazione raccolta da parte di un investigatore privato assunto dalla società che gestisce la distribuzione dell'acqua in provincia, confermando che il licenziamento era illegittimo.
In primo grado, la Corte d'appello, aveva invece ritenuto utilizzabili le relazioni investigative acquisite. Le mansioni dell'ex dipendente in sostanza consistevano nell'attività esterna di ispezione dei cantieri e dunque si svolgeva prevalentemente al di fuori dei locali aziendali, per cui nessun divieto poteva configurarsi «per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro» ed inoltre riguardo «la mancata esecuzione dei compiti di verifica e controllo affidati al ricorrente e la inveritiera attestazione della positiva esecuzione di controlli mai eseguiti», la Corte di Appello ha considerato che «I predetti comportamenti consistiti nell'aver rappresentato alla propria azienda un'attività lavorativa in realtà non svolta determinando la violazione del dovere di diligenza nell'adempimento della prestazione lavorativa, nonché la lesione dell'obbligo di fedeltà e in ultima analisi ledono irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro».
L'ex dipendente ha proposto ricorso, ha depositato una memoria in cui ci sono elencati tre motivi per cui ottenere la cassazione della sentenza. Il primo relativo proprio alla inutilizzabilità delle relazioni investigative, «nonostante le stesse fossero finalizzate ad avere "notizie esaustive circa il corretto adempimento delle prestazioni lavorative", peraltro in assenza di un giustificato sospetto circa la realizzazione di condotte illecite del lavoratore. Il secondo motivo relativo al fatto che l'azienda non avrebbe assolto l'onere di provare "tanto il mancato svolgimento dell'attività lavorativa che la falsità dei rapporti di lavoro". In ultimo la difesa del lavoratore, sostenuta dagli avvocati Salvatore Coletta e Tiziana Agostini, ha contestato anche degli aspetti più puramente tecnici sempre relativi alla vicenda. I giudici hanno evidenziato che la vigilanza dell'attività lavorativa non esclude la collaborazione di un'agenzia investigativa, ma «deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione. Le agenzie non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori». I giudici hanno riformato la sentenza e rinviato alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
il caso
Pedinato e licenziato da Acqualatina
Acqualatina si rivolse ad un’agenzia investigativa affinchè lo controllasse. I giudici della Cassazione hanno riformato la sentenza della Corte d’Appello