«Vorrei tanto sbagliarmi, ricevere una telefonata da Daniele per sentirmi dire che le mie previsioni non erano esatte, ma temo il peggio. Sono sincero, le speranze di ritrovarli in vita sono ridotte al lumicino, per non dire nulle».
A parlare in questi termini, Simone Moro, l'alpinistra italiano che tre anni fa, unitamente a Muhammad Ali e ad Alex Txikon, riuscì ad arrivare in vetta al Nanga Parbat passando per la via normale del Diamir, la Kinshofer.
«Daniele Nardi e Tom Ballard sono tra i migliori scalatori esistenti su questa terra - ci ha spiegato Moro - e non posso pensare che di colpo non abbiano avuto più strumenti per comunicare la loro posizione. Mi spiego meglio: la storia che ho letto delle batterie del satellitare regge sino ad un certo punto. Magari una può essersi scaricata, vogliamo dire anche tutte e due? Va bene. Ma c'è sempre la pila frontale e quella, con due giornate limpide, è visibile dal campo base. Non sono degli sprovveduti, soprattutto Daniele che conosce molto bene lo sperone Mummery, sa perfettamente a cosa va incontro e premunirsi oltre ogni limite, è una prerogativa. L'augurio che tutti ci facciamo è che abbiano tentato di salire in vetta e che magari, ora, stiano provando a scendere da un altro versante. Ipotesi remota, sono sincero, ma alla quale vogliamo aggrapparci».
Conoscendo Daniele, cos'è secondo te che l'ha spinto a tentare nuovamente di arrivare in vetta attraverso lo sperone Mummery?
«Ci sono salite difficili, altre ambiziose, poi ci sono quelle storiche, che lasciano il segno. Questa è una di quelle».
Hai scelto di percorrere una via diversa e sei l'unico ad essere arrivato in cima in inverno.
«Quando hai paura di una cosa, è giusto fermarsi e riflettere su quello che devi fare. Lo sperone di roccia che porta il nome del grande Mummery, è un qualcosa che fa paura, non potete capire quanto».
Ci spieghi meglio?
«Le valanghe sono devastanti. Gli enormi seracchi del grande ghiacciaio, un qualcosa difficile da descrivere. Parliamo di palazzi di otto-dieci piani che ti travolgono, che vengono giù e spazzano via tutto. Lo sperone Mummery è questo, ecco perché sono in pochi ad affrontarlo e nessuno, a parte Messner in estate e in discesa, lo ha mai domato, finendo però col perdere il fratello».
Bisogna aggrapparsi alla speranza e pregare?
«Sono sincero e realista, potrebbe non bastare tutto questo. Per me, purtroppo, non ce l'hanno fatta anche se fa male soltanto sentirlo».
L'intervista
Nanga Parbat, Simone Moro è categorico: "Temo il peggio"
Latina - L'unico alpinista italiano a raggiungere la vetta in inverno parla della ricerca in corso dei due alpinisti dispersi sul Nanga Parbat