Processo con rito immediato. È questo quanto avverrà il prossimo 15 aprile nelle aule del Tribunale di Velletri, dove si aprirà il dibattimento su un caso che a giugno scorso ha scosso - e non poco - l'opinione pubblica: l'esistenza di un clan malavitoso facente capo alla famiglia Fragalà e operativo sui territori di Roma, Pomezia, Torvajanica e Ardea, con la voglia di espandersi anche su Anzio.
Il gip del Tribunale di Roma, Corrado Cappiello, ha infatti accolto la richiesta dei magistrati dell'Antimafia capitolina, disponendo il processo con rito immediato a Velletri, circondario di competenza per i territori di Ardea e Pomezia. Starà ora ai giudici di piazza Falcone stabilire se ventotto persone siano o meno responsabili - a vario titolo - di una sequela di vicende estorsive, minacce, intimidazioni e anche attentati incendiari. E non solo: fra le contestazioni ci sono anche porto abusivo di armi clandestine e traffico di droga. Il tutto, per alcuni degli indagati, aggravato dall'utilizzo del metodo mafioso, con la contestazione dell'associazione per delinquere prevista dall'articolo 416 bis del Codice penale.
A preoccupare gli inquirenti - soprattutto per quanto riguarda la contestazione dell'associazione per delinquere ad alcuni degli imputati - sono il radicamento e lo spessore criminale del gruppo: «Qua se c'è qualcuno che comanda sono i Fragalà e basta - sosteneva uno degli imputati in un'intercettazione -. A Torvajanica abbiamo sempre comandato noi». E lo facevano, secondo l'Antimafia di Roma, anche attraverso dei contatti instaurati con Cosa Nostra siciliana (nello specifico i Santapaola), con i Casalesi e con la famiglia Senese.
E non mancava, sempre secondo le indagini, il tentativo di infiltrazione nel mondo politico del litorale romano.