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L'intervista

Gabriele Cirilli: "Sul palco porto la mia vita. Risate e riflessione"

Il comico sarà il 1 agosto all’Arena Fogliano. «Latina è casa mia: è qui che è nato il “coatto romano”». E confida: «Tatiana? È colei che mi ha salvato»

Gabriele Cirilli: "Sul palco porto la mia vita. Risate e riflessione"

Il comico Gabriele Cirilli

Il 1° agosto Gabriele Cirilli torna a Latina con lo spettacolo “Il meglio di Gabriele Cirilli”, in scena alla Fogliano Arena. Un viaggio tra risate, emozioni e riflessioni, in cui l’attore e comico abruzzese ripercorre i momenti più divertenti e intensi della sua carriera. In questa intervista esclusiva, Cirilli si racconta senza filtri: dal legame speciale con Latina, dove ha mosso i primi passi nel cabaret, ai suoi maestri, ai temi che porta in scena, sempre con una comicità che nasce dalla realtà e dal cuore.

Il 1° agosto sarai alla Fogliano Arena di Lido di Latina con il tuo spettacolo ‘Il meglio di Gabriele Cirilli’: cosa deve aspettarsi il pubblico?
«Il meglio di… me! Ovvero, faccio un riassunto degli ultimi spettacoli, prendo le cose più belle e le metto insieme, per questa estate, come ho fatto anche lo scorso anno. È un monologo ricco, vario, più sfaccettato del solito. C’è tanta roba dentro, davvero!»

Che rapporto hai con la città di Latina? Sei stato più volte qui in passato.
«A livello di cabaret ho proprio debuttato a Latina. Avvenne per una rassegna di comicità in un locale del posto. Il direttore artistico di quella rassegna, Capone, grande agente cinematografico, e i proprietari del locale hanno creduto in me e da lì mi hanno portato a fare il Teatro D’Annunzio, dove facemmo due sold-out bellissimi. E’ proprio lì che nacque il personaggio del ‘coatto romano’».

Il tuo show mescola comicità, emozione e riflessione: da dove nasce questa formula?
«E’ una formula che nasce da Gigi Proietti. Lui ci diceva sempre che bisognava comunicare qualcosa, anche attraverso una risata. Ridere e riflettere allo stesso tempo fa sempre bene».

Si ride molto, ma si riflette anche: quali sono i temi principali che porti in scena?
«Come in tutti i miei spettacoli, c’è sempre un riferimento alla realtà. La porto sul palco e la rendo goliardica: ecco perché la gente ride. Passo dallo spaccato della periferia romana a riflessioni più profonde, come quelle sul web e sul mondo digitale. È un patchwork di comicità che parte dalla realtà – da quella più “coatta” a quella più nobile».

Quanto c’è di autobiografico nel tuo spettacolo?
«Praticamente tutto. Ad esempio, quando parlo del call center: lo faccio perché davvero mi chiamano a tutte le ore, addirittura una poco fa! Ogni pezzo nasce dalla mia vita. Certo, poi lo trasformo in qualcosa di comico, di macchiettistico, ma il punto di partenza è sempre la realtà».

Dopo tanti anni di carriera, come cambia il modo in cui prepari uno spettacolo?
«In realtà non è mai cambiato: lo preparo sempre con complicità e soprattutto con grande rispetto per il pubblico. Chi compra un biglietto ha diritto a divertirsi, naturalmente se parliamo di uno spettacolo comico. Quindi parto sempre da loro».

C’è un messaggio che vuoi lasciare al pubblico alla fine dello show?
«Il messaggio è quello di riflettere: riflettere su dove vogliamo andare, sugli obiettivi, sul senso delle cose. Non bisogna lasciare tutto all’improvvisazione, anche se improvvisare è bellissimo. Io lo faccio, ma sempre partendo da basi solide. L’improvvisazione deve essere professionale».

Ti capita mai di improvvisare sul palco? Latina potrebbe ispirarti qualcosa?
«Improvviso praticamente tutte le sere, perché ogni sera è diversa. L’esperienza e il calore del pubblico mi danno spazio per farlo. Lo spettacolo evolve di continuo, proprio grazie a questo scambio».

C’è un momento dello spettacolo che per te ha un significato speciale?
«Tutto lo spettacolo, davvero. Dal “buonasera” iniziale – che mi ricorda mio padre, che mi sgridava se non salutavo entrando dalla porta di casa – fino al “ciao a tutti, che Dio vi benedica” che dico in chiusura. Ogni momento ha un suo senso».

Parliamo di Gabriele: che bambino eri?
«Ero un bambino molto irrequieto. Andavo all’asilo dalle suore, che mi chiamavano “Ivan il terribile”! Si percepisce anche oggi sul palco: Proietti, infatti, diceva che sono un animale da palcoscenico».

Quando hai capito che volevi far ridere gli altri?
«Subito. Mi piaceva stare al centro dell’attenzione. Quando vedevo gli occhi su di me e sentivo la gente ridere, capivo che quella era la mia strada. Ho sempre voluto fare l’attore e poi mi sono specializzato nella comicità, ma resto sempre un attore».

C’è stato un maestro, o un mentore, che ha segnato il tuo percorso?
«Gigi Proietti mi ha reso un professionista. Ma ce ne sono stati tanti: Enea Di Ianni, che ho conosciuto quando avevo 7 anni, Paolo Villaggio, Lino Banfi, anche Alberto Sordi – con cui non ho recitato direttamente, ma ho partecipato ad un suo film, imparando molto dietro le quinte. E poi Lina Sastri, Piera Degli Esposti, Flavio Bucci… ma tutto è partito da Gigi».

Cosa ti fa ridere oggi?
«Rido facilmente, anche se devo essere sempre ‘predisposto’ alla risata. Se ti siedi con l’atteggiamento “fammi ridere”, è difficile. Ma se sei aperto, ridi. Io rido spesso, anche se ci sono cose che non mi provocano nulla – sia tra i comici del passato che tra quelli di oggi. Ma l’importante è la comicità, sempre».

E cosa, invece, ti fa piangere?
«Mi commuove la saggezza. La vecchiaia. Le cose che succedono nel mondo. Da giovani ti sembrano sempre lontane dal tuo mondo, ma poi con il passare degli anni le senti vicine. Le disgrazie, quello che leggo sui social, nei giornali, in TV… fanno male».
Il momento più bello e quello più brutto della carriera?
«Il momento più brutto lo vivo ogni giorno, nel senso dell’incertezza del futuro, che fa parte del mio lavoro. Il più bello è – di conseguenza – il fatto che, ogni giorno, trovo la forza e la spinta per superare questo momento brutto».

Hai mai avuto paura del palco?
«Tutte le sere. Ma non è paura, è rispetto che ti rende all’inizio timido, quasi impaurito. Appena salgo e decido poi di affrontare il palco, poi, questa sensazione scompare».

La popolarità ti ha mai fatto sentire solo?
«Sempre. Perché anche se sei circondato da gente, molti vedono solo il personaggio televisivo, il Gabriele che vedono sul palco o in tv. Mi piacerebbe che guardassero anche la persona».

Che ruolo ha la famiglia nella tua vita?
«Il ruolo più importante che ci sia. Dalla famiglia parte tutto: educazione, rispetto, onestà – ammesso che si abbia chiaramente una famiglia fondata su quei valori. Poi c’è la scuola, che è un prolungamento della famiglia. Ci ho scritto anche uno spettacolo, ‘Cirilli & Family’: per me è davvero fondamentale».

Com’è cambiata la tua vita con la paternità?
«E’ cambiata tanto, in meglio perché quello – il giorno della nascita di mio figlio Mattia - è stato il giorno più felice della mia vita. Ma mi ha anche reso molto più responsabile e mi ha dato insicurezze che prima non avevo».

Tv, teatro o cinema: cosa scegli?
«In ordine scelgo: teatro, cinema e poi TV. Anche se, di fatto, faccio TV, teatro e poi cinema!»

Cosa fai per ricaricarti tra uno spettacolo e l’altro?
«Sto in famiglia. Non ci sono alternative vere o svaghi di altro tipo, a parte qualche hobby, come guardare lo sport o girare per strada, mi piace ad esempio vedere le vetrine dei negozi. Ma la mia ricarica è stare con i miei cari».

Se potessi incontrare il Gabriele ventenne, cosa gli diresti?
«Gli direi di fare tutto quello che ha fatto: non mi pento di nulla. Anche le cavolate servono a costruire il carattere e la persona che sei».

Qual è il complimento più bello che hai ricevuto?
«Una volta una ragazza, ai tempi di “Tatiana”, mi raccontò che suo nonno – che era un grande fan di Zelig – si trovava in coma. Un giorno gli lessero il libro che scrissi all’epoca – ‘Chi è Tatiana?!?’ - e lui si è risvegliato, sorridendo. Non so se fosse successo per caso, ma loro pensavano fosse stata la verve comica di quel libro a smuoverlo. Tra l’altro, sono passati 25 anni da quel libro: forse dovremmo riscoprirlo…»

A proposito, Gabriele, chi è Tatiana?
«Chi è Tatiana, chi è Tatianaaaaaa... (ride) Tatiana per me è stata una luce, un qualcosa che non si può definire. In quel buio che è questo mestiere, è stata un punto fermo. Ora chiaramente non faccio più quel personaggio, anche perché con il passare degli anni sarebbe diventata… la nonna di Tatiana!
Ma mi ha aiutato a superare tante cose, su tutte combattere il fatto di essere grasso: imparare a scherzarci sopra per me era fondamentale, così come lo è spronare altra gente a essere se stessi ed essere soddisfatti di quello che si è e di come si è».

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