Economia
24.03.2025 - 17:43
Il nuovo Rapporto mondiale sui salari 2024–2025 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) lancia un segnale d’allarme sullo stato delle retribuzioni in Italia: il nostro Paese registra la peggior performance salariale tra le economie avanzate del G20, con una perdita del potere d’acquisto pari all’8,7% dal 2008. Un dato che pesa sul bilancio delle famiglie italiane e riflette una stagnazione di lungo corso aggravata dalla recente crisi inflattiva.
Il 2024 ha visto un moderato recupero dei salari reali italiani, con una crescita media del 2,3%, dopo due anni di pesanti cali: -3,3% nel 2022 e -3,2% nel 2023. Tuttavia, questo rimbalzo non è sufficiente a colmare le perdite subite durante la crisi del costo della vita. L’Italia, al contrario della Corea del Sud o degli Stati Uniti, non ha ancora recuperato i livelli salariali pre-crisi del 2008.
Il rapporto evidenzia un'anomalia preoccupante: tra il 1999 e il 2024, la produttività del lavoro in Italia è diminuita del 3%, mentre nei paesi ad alto reddito è aumentata in media del 30%. A partire dal 2022, si è verificata un’inversione di tendenza: la produttività è cresciuta più dei salari reali, segno che l’economia si muove, ma i benefici non si riflettono nelle buste paga.
L’Italia ha registrato, tra il 2022 e il 2023, un'inflazione particolarmente elevata, con un picco dell’8,7%. Le retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate del 15% in dieci anni in termini nominali, ma sono calate di oltre 5 punti in termini reali. Le famiglie a basso reddito, che spendono oltre il 60% del proprio bilancio in beni essenziali (cibo, alloggi, utenze), sono state le più colpite, con un impatto diretto sul potere d’acquisto.
Diversamente da altri Paesi europei, in Italia non esiste un salario minimo legale. I livelli retributivi vengono determinati tramite i contratti collettivi nazionali (CCNL), che coprono una vasta gamma di lavoratori ma non sempre riescono a garantire adeguamenti efficaci nei momenti di crisi. Secondo l’OIL, nei Paesi in cui è presente un salario minimo legale, come la Spagna, si è registrata una migliore tenuta del potere d’acquisto.
L’Italia si distingue per una bassa percentuale di lavoratori con bassi salari: solo lo 0,9% guadagna meno della metà del salario mediano, contro il 3% della media dei Paesi ad alto reddito. Tuttavia, persistono forti disparità nella parte alta della distribuzione: il 10% dei lavoratori meglio pagati guadagna circa il doppio della mediana.
Anche il divario salariale di genere è inferiore alla media europea: nel 2021, il divario ponderato era del 9,3%, rispetto al 14,3% dell’UE. Ma il gap sale al 20% se si considerano le retribuzioni mensili, a causa del maggiore ricorso al part-time femminile e alla segregazione settoriale.
Uno dei dati più critici riguarda il divario salariale tra lavoratori italiani e migranti, che si attesta al 26,3%. Si tratta di una delle disuguaglianze più marcate in Europa, in crescita rispetto al 21,6% del 2006. Le lavoratrici migranti, in particolare, sono soggette a una doppia penalizzazione, di genere e di origine.
Il rapporto OIL invita i responsabili politici italiani a intervenire con misure strutturali e mirate: adeguamento più tempestivo dei salari, politiche per la produttività, rafforzamento della contrattazione collettiva e inclusione salariale per migranti e donne. In un contesto di inflazione ancora incerta e stagnazione economica, il rischio è che le disuguaglianze aumentino e la crescita diventi insostenibile.
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