Pestaggio in stile mafioso, De Rosa si è ispirato ai Di Silvio

È stato un vero e proprio pestaggio in stile mafioso quello di un mese fa, costato il carcere al ventenne Giuseppe De Rosa. Perché l’atteggiamento che ha avuto nei confronti della vittima diciottenne, prima ancora di minacciare i testimoni, è stato sin da subito quello di chi cerca in ogni modo di vedere riconosciuto il proprio potere criminale, anche solo imponendo il proprio cognome, per ottenere rispetto e deferenza.

Grazie al quadro indiziario fornito dai Carabinieri del Nucleo Operativo Radiomobile del tenente Massimo Ienco ricostruendo quelle condotte, l’inchiesta del sostituto procuratore Luigia Spinelli della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma ha potuto configurare l’aggravante prevista dall’articolo 416bis del codice penale puntando sul legame di parentela che intercorre tra i De Rosa e i Di Silvio della famiglia di Armando detto Lallà, i cui esponenti di vertice stanno già scontando la pena definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso nella commissione di estorsioni e traffico di droga.

Quella notte tra il 27 e il 28 settembre, spalleggiato da alcuni suoi amici, Giuseppe De Rosa si era presentato in piazzale Pordenone, il parcheggio situato tra il liceo Classico e via Toti, abituale ritrovo dei gruppi di adolescenti. Aveva subito preso di mira due ragazze che si trovavano in compagnia del diciottenne e aveva rivolto frasi di sfida a quest’ultimo col chiaro intento di provocarlo, invitandolo a condividere con lui la compagnia di quelle ragazze. La parte offesa invece aveva tirato dritto, evitando di raccogliere la provocazione, ma il suo silenzio aveva innescato subito la reazione del ventenne che gli aveva ordinato: «Se ti chiamo devi rispondere... tu non sai chi sono io, se ti dico che dobbiamo parlare dobbiamo parlare...».

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