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Il fatto

Molestie sul posto di lavoro: «Così mi ha molestato il collega»

Protetta da un paravento per non incrociare lo sguardo del collega, ieri la donna carabiniere ha raccontato gli episodi per cui ha sporto denuncia

Molestie sessuali sul treno, a giudizio un giovane egiziano

Ha chiesto di non incrociare lo sguardo dell’uomo, il collega, che aveva denunciato per molestie sessuali e atti persecutori. Così ieri mattina in aula, la giovane donna carabiniere che era chiamata a descrivere i fatti per cui si è aperto un processo davanti al terzo collegio del Tribunale di Latina, ha potuto farlo coperta alla vista da un paravento.

Alla domanda del presidente Soana (Villani e Romano a latere) se volesse anche parlare senza pubblico, lei ha risposto «sì» e così la sua testimonianza si è svolta a porte chiuse. Ha potuto quindi raccontare di quei servizi durante i quali, in auto in particolare, il collega le avrebbe fatto avances, ma soprattutto di un episodio in cui le avrebbe messo le mani su una coscia. Ha descritto come non si trattasse di una cosa momentanea, ma protrattasi per diverso tempo nonostante lei gli avesse ripetuto di «toglierla» e poi ripetutosi in altre occasioni.

Ha raccontato dei messaggi che lui le inviava, di un altro servizio durante il quale le avrebbe proposto rapporti sessuali e di come l’avrebbe “punita” per i suoi rifiuti: togliendole il saluto, sbattendole contro il mitra. Comportamenti e messaggi sul telefono che l’avrebbero quindi non solo destabilizzata, ma che l’avrebbero gettata in uno stato di stress e ansia. Per questo si sarebbe poi confidata con l’allora comandante che avrebbe notato questi cambiamenti nel suo umore facendo scattare il procedimento.

Ed è proprio su questi ultimi aspetti che la difesa (avvocati Alessandro Mariani e Italo Montini, per la parte lesa invece Francesco Pietricola e Federica Pecorilli) del militare imputato ha voluto vederci chiaro: raccogliere elementi sul procedimento d’ufficio che per loro non sarebbe stato giustificato, e capire perché di fronte a un quadro di stress, forse paura, lei non avrebbe chiesto, ad esempio, modifiche dei turni di servizio, perché avrebbe anche scritto al collega messaggi d’affetto che poi avrebbe cancellato, perché insomma nei fatti il suo comportamento non fosse all’apparenza corrispondente ad uno stato di vessazione.

E perché non abbia sporto denuncia. Sulla questione dei turni, la parte lesa ha riferito che erano stabiliti dalla comandante e sul resto che in alcune occasioni rispondeva a messaggi che le arrivavano da un collega più anziano e che probabilmente si sarà anche sentita in dovere di inviare visto che era anche più alto in grado. Una testimonianza difficile per la giovane donna al termine della quale il processo è stato aggiornato al prossimo 11 settembre quando sarà ascoltata la comandante che aveva avviato il procedimento d’ufficio scaturito in una misura di allontanamento dell’uomo.

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