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L'intervista

Bruno Giordano e quel calcio di fenomeni che non esiste più

"D’Amico e Maradona sono stati i miei numeri 10. Ho avuto con loro un rapporto umano straordinario"

Bruno Giordano e quel calcio di fenomeni che non esiste più

Bruno Giordano durante la nostra intervista a Gaeta

Gaeta e le luminarie. Nelle notti di dicembre, dove al sorgere dell’alba ti accorgi, invece, che il sole che bacia questo meraviglioso lembo di terra, forse un tantino borbonica, è caldo come il cuore di chi ha sempre vissuto di pane e pallone, trovando nel “cuoio” a scacchi, la forza per urlare al mondo intero: sono il migliore, perché ho avuto la fortuna di giocare con i migliori. Una mattina di sabato, quasi in riva al mare, in compagnia di Bruno Giordano. Cielo azzurro, non potrebbe essere altrimenti e dialogo che prende quota, accarezzando le parabole del sapere calcistico.
Bruno, intanto grazie.
«Felice di essere qui con voi a parlare di calcio».
Il tuo, quello degli anni ottanta e novanta, era tutta un’altra cosa. C’erano i Maradona, i Zico, i Careca, i Falcao. Non si prova un po’ di tristezza nel raccontarne, oggi, un altro?
«Ai nostri tempi si giocava molto di più con la palla tra i piedi: meno tattica e molta più tecnica e fantasia. Oggi invece si portano i bambini, già dai 9-10 anni, a ragionare soprattutto sull’aspetto tattico, soffocando il talento. Non credo che in Italia non ci sia più talento: se ce l’hai va mantenuto, se non ce l’hai va migliorato, ma servono allenatori veri, che sappiano insegnare il gesto tecnico sul campo, non solo davanti a un computer».
Perché l’Italia fa così fatica a emergere a livello internazionale?
«Il problema viene da lontano. Se pensiamo all’Italia dell’82 e del 2006 e la confrontiamo con quella di oggi, la differenza è enorme. Rischiamo addirittura di non partecipare al terzo Mondiale consecutivo. In quelli del 2010 e 2014 abbiamo fatto solo delle comparse. È un problema strutturale, legato soprattutto ai vivai e allo sviluppo dei giovani».


I giovani talenti italiani vengono valorizzati?
«Spesso no. Il talento viene soffocato dalla tattica. In Italia diventare un campione è difficile proprio per questo. Un giovane con qualità ha bisogno di libertà, non di schemi rigidi. Se manca anche la tecnica, poi, diventa tutto ancora più complicato».
Che ricordo hai del tridente del Napoli con Maradona e Careca?
«È stato qualcosa di straordinario, probabilmente irripetibile. Giocare con Maradona era un vantaggio enorme. Careca e Carnevale completavano un tridente incredibile. Ancora oggi, dopo più di quarant’anni, quel Napoli viene ricordato ovunque. Sono stato fortunato a trovarmi nel posto giusto al momento giusto».
E la tua storia nella Lazio? Quella con Laudrup, Batista, D’Amico e Manfredonia, era piena di qualità?
«Era una squadra forte sul campo, ma senza una vera società alle spalle. Problemi economici e organizzativi ci hanno penalizzato tantissimo. L’arrivo di un allenatore lontano dal calcio italiano come Lorenzo, fu una scelta sbagliata. I giocatori non furono messi nelle condizioni di rendere al meglio».


Come vedi l’attuale campionato italiano?
«Molto equilibrato, soprattutto in alto. Oggi tutte le squadre possono vincere o perdere contro chiunque. L’Inter, per esempio, ha già perso diverse partite anche con squadre meno blasonate. In basso, invece, credo che alla lunga emergeranno i reali valori».
Ti rivedremo presto in panchina?
«La vedo complicata. È passato del tempo e non ho mai avuto un procuratore. Oggi senza intermediari è difficile. Mi piacerebbe di più un ruolo da direttore tecnico: scegliere i giocatori, confrontarmi con l’allenatore, dare un indirizzo tecnico».
Ti vedresti come scopritore di talenti?
«I grandi talenti prima o poi emergono da soli. Possono ritardare, ma se sei forte arrivi. Certo, chi ha giocato e allenato ha un occhio diverso, più allenato, rispetto a chi non ha vissuto il campo».


A proposito di talenti, che giudizio hai su Nico Paz del Como?
«È un talento straordinario. Si vedeva già a Madrid. Ora ha preso consapevolezza della sua forza e questi anni a Como gli serviranno tantissimo. È un giocatore destinato a grandi livelli».
I Mondiali moderni hanno perso valore?
«Il problema non è giocare in America, Canada o Messico, ma l’allargamento eccessivo. Si vedono partite senza senso, risultati come 7-0 o 8-0. Così le statistiche perdono valore e i record non hanno più lo stesso peso».
Se dovessi scegliere un allenatore per il futuro, chi indicheresti?
«Ho un debole per Allegri, Gasperini e Conte: allenatori concreti, che portano risultati. Tra i più giovani, Italiano sta facendo molto bene. Ma senza una grande società alle spalle anche Guardiola andrebbe in difficoltà».


Cosa pensi dell’abbattimento di San Siro?
«È molto triste. È uno stadio storico, fantastico. Oggi però il business viene prima di tutto. Il risultato sportivo è passato in secondo piano rispetto a quello economico».
Che stagione possono fare Roma e Lazio?
La Lazio ha qualità per stare a ridosso delle grandi e lottare per l’Europa. Dipende dal distacco finale: un conto è mancare l’Europa per un punto, un altro per sei o sette. La Roma ha un allenatore forte e, con un paio di acquisti, può restare fino alla fine tra le prime quattro».


Vincenzo D’Amico e Diego Armando Maradona...
«Sono stati i miei numeri 10. Mi hanno permesso di segnare tanti gol, ma soprattutto ho avuto con loro un rapporto umano straordinario. Sono andati via troppo presto, ma saranno immortali. Sono sempre nel mio cuore, nei cuori di tutti, soprattutto di chi, come me, li ha vissuti in prima persona. Entrambi sono stati come fratelli per me».

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