L'intervista
23.05.2024 - 18:33
Si dice che si torna dove si è stati bene ed evidentemente Nicola Zingaretti all’europarlamento s’è trovato a suo agio. Certo di anni ne sono passati parecchi da quella prima esperienza targata 2004. Nel mezzo ci sono state la presidenza della Provincia di Roma, due mandati consecutivi da presidente della Regione Lazio, la segreteria nazionale del Partito democratico e infine il ruolo di deputato, attualmente ricoperto.
Onorevole Zingaretti, cosa ha spinto un deputato, già due volte presidente di Regione a candidarsi per queste Europee?
«Ho deciso di tornare nella mischia perché è una battaglia politicamente importante e poi per la mia terra, per il Lazio. Perché l’Europa è il luogo delle decisioni, è il luogo nel quale si immagina come vivremo nel futuro e noi ci dobbiamo stare per poter incidere».
La legislatura che si sta concludendo a Bruxelles e Strasburgo è stata caratterizzata dalla pandemia e dalla guerra alle porte dell’Europa, due eventi imprevisti che hanno cambiato le regole del gioco. E che influenzeranno anche i prossimi cinque anni. Cosa si aspetta ?
«L’Europa è stata benissimo per tantissimi anni ed è stata bravissima ad affrontare la tragedia del covid ma non lo è stata altrettanto sulla politica internazionale, dove è pressoché assente. Sul Covid sono state salvate milioni di vite grazie all’unione degli stati europei che hanno deciso di acquistare i vaccini garantendoli così gratuitamente a tutti i cittadini. Altrimenti si rischiava di favorire solo le classi abbienti. Sulla guerra invece questa unità non c’è stata perché sulla politica estera prevalgono i nazionalismi. Tanti paesi non vogliono la politica estera comune né sulla vicenda Ucraina ma neanche sulla vicenda del Medio Oriente. Bisogna capire che se l’Europa esiste agli europei conviene perché siamo più forti di tutti gli altri. Per questo nei prossimi cinque anni mi aspetto un’Europa più unita e più umana cioè più forte e più proiettata verso la condizione umana delle persone».
La prossima sarà una legislatura di riforme?
«E’ quel che mi auguro. Non ha più senso avere il diritto di veto, che permette ai nazionalisti di frenare le politiche comuni. La sfida di queste elezioni è proprio tra chi punta a migliorare l’Europa, rendendola più unita e i nazionalisti che frenano questo processo. Quando parlo di un’Europa più umana lo faccio perché è l’obiettivo che dobbiamo porci. Faccio un esempio: sulle politiche sanitarie, sui medicinali, l’acquisto comune dei farmaci salvavita, quelli per i malati oncologici. Oppure i macchinari innovativi. In questo modo saremo più forti rispetto alle multinazionali che vendono questi prodotti. Poi serve una politica estera comune. Se vogliamo incidere è l’unica strada. Così come un esercito comune europeo: si abbassano le spese militari dei singoli paesi ma si ottengono risultati migliori».
La transizione energetica è stato uno dei temi centrali in questi anni in Europa. Ora bisogna completare il percorso. Pensa che servano migliorie o la strada intrapresa è quella giusta?
«Io dico solo che i costi della transizione energetica non li devono pagare più deboli. Ci sono concentrazioni di ricchezza del mondo che definirei oscene legate anche a come è stato gestito dall'economia il periodo covid e quindi ci vuole la costruzione di una progressività delle imposte e anche l’Europa deve agire in questa direzione. La transizione energetica e quel che ne consegue non può essere considerata un costo. Quando mi si dice: va costruita una scuola o un ospedale non chiedo quanto costano, perché servono. Stesso discorso vale per il green deal. Il costo sono le alluvioni, le frane, il dissesto idrogeologico, i campi distrutti dalle troppe piogge o dalla troppa siccità, le perdite di vite umane che ne conseguono. Io credo che bisogna andare avanti bisogna andare avanti in fretta, se ci sono dei costi da sostenere li paghino i ricchissimi della terra».
Il post Covid è stato caratterizzato anche dalle ingenti risorse messe a disposizione dal Pnrr. Ma l’Italia ha sempre il grande problema di non riuscire a spendere tutte le somme che ottiene, col rischio di doverle restituire. E’ sempre così?
«Guardi i cittadini del Lazio devono essere orgogliosi, mi permetto di dire, delle giunte Zingaretti perché insieme ai sindaci del Lazio, negli ultimi 10 anni hanno speso tutti i fondi europei che abbiamo ereditato nel 2000 al 2013. Abbiamo programmato, speso e rendicontato per migliorare le città, le infrastrutture. Abbiamo speso talmente bene che questa capacità è stata premiata in quanto la nuova è il doppio di quella degli anni precedenti. E questo è grazie a tanti amministratori che ci hanno messo l'anima. Rocca ha avuto in eredità 16 miliardi di euro di fondi europei per fare ospedali, case di comunità, strade, infrastrutture, sostegno alla green economy e quello gli chiedo ora è di spenderli. Noi abbiamo portato il Lazio tra le regioni più capaci in Italia per spesa».
Le due province del Basso Lazio non hanno rappresentanti di questo territorio in corsa alle Europee. Lei si sente di poter convincere gli elettori di centrosinistra a sceglierla come rappresentante di Latina e Frosinone da mandare in Europa?
«Con molta umiltà faccio di tutto per essere il candidato che può rappresentare gli interessi di questo territorio in Europa. Sono stato presidente della Regione Lazio per dieci anni e conosco bene come sono fatte le province di Latina e Frosinone, quali sono i problemi che hanno. L’idea di Elly Schlein di candidarmi a queste elezioni nasce appunto dalla nacessità di rappresentare tutto il Lazio, di difendere queste terre e questi territori».
Lei è stato 10 anni presidente della Regione ma non è riuscito a congedarsi realizzando l’opera più importante, attesa da 30 anni almeno: la Roma-Latina. C’è del rammarico per questo?
«Guardi io sono dovuto andare via perché i mandati erano finiti ma negli anni del mio governo abbiamo fatto un miracolo perché abbiamo risolto tutti i contenziosi che ho trovato quando sono arrivato. E averlo fatto ha significato aver rimesso in moto il progetto. Lo so che permane dello scetticismo ma se guardiamo alla Cisterna Valmontone, siamo agli espropri e dunque è stato compiuto un passo decisivo grazie a noi».
Alle Europee, più che in altre competizioni, c’è il rischio di una astensione molto alta. Cosa sta dicendo agli elettori per motivarli ad andare alle urne?
«Che se vogliamo contare davvero e se vogliono che l’Italia conti davvero in Europa, bisogna votare. Perché gli elettori degli altri paesi, alle Europee, votano e con percentuali molto alte. Il Parlamento europeo deciderà dei fondi europei, sulle politiche europee e sui valori europei e se non ci andiamo noi, gli altri decideranno anche per noi. Non voglio morire suddito di altri poteri economici o di altri interessi geopolitici. Voglio, nel segno della pace, continuare a vivere con la mia identità che incontra altre identità. Per questo io vado a votare».
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