«Questo è un posto davvero unico, meraviglioso. Sono sincero, non lo conoscevo, con mia moglie Elena siamo davvero contenti di averlo scoperto. L'accoglienza di Gianluigi (Superti, ndr) e del suo staff, poi, è stata davvero eccezionale. Ci hanno coccolati dal primo momento che siamo arrivati». Una mattinata splendida, quella di ieri, in compagnia di Ivano Bordon, il portiere gentiluomo. Bandiera dell'Inter e due volte Campione del Mondo con la Nazionale, nel 1982 come vice di Zoff e nel 2006 come preparatore dei portieri al fianco di Marcello Lippi.

Una storia da raccontare e lui lo ha fatto. Questa sera, a partire dalle 19, nella quiete dei giardini del Circeo Park Hotel, a "Incontri all'Imbrunire", la sua autobiografia, "In presa alta", scritto a quattro mani con Jacopo Dalla Palma, troverà terreno fertile nel competente pubblico di questa rassegna e nei tanti tifosi nerazzurri che faranno capolino dalle parti del Circeo Park Hotel per riabbracciare l'idolo della loro giovinezza nerazzurra. «Ho provato a chiamare 'Spillo' (Altobelli, ndr), ma purtroppo era fuori. Lui è di Sonnino, vicino al Circeo, sarebbe stato bello dividere questo momento. Noi abbiamo una chat in comune, spesso ci vediamo».


Hai giocato in squadra con grandi campioni e contro fenomeni veri come Gigi Riva e Gianni Rivera, tanto per citarne due. Con il mercato di oggi, che cifre bisognerebbe spendere per prendere uno di loro?
«Le stesse che vengono accostate a grandi campioni come Ronaldo e Messi. Penso, per esempio, al mio amico Roberto Boninsegna: con tutto il rispetto per gli altri, centravanti del suo calibro non esistono oggi in Italia».


Per non parlare di Facchetti, Mazzola, Oriali, Suarez della tua prima Inter.
«Ricordo ancora quando alla vigilia di Borussia-Inter, la ripetizione della partita della famosa lattina, venne in camera a dirmi di stare tranquillo. Il giorno dopo avrei esordito in Coppa dei Campioni. Giacinto sapeva come dire le cose e le sue parole fecero presa. Facemmo 0-0 ed io parai un rigore».


E la finale contro l'Aiax di Cruijff?
«Avevo vent'anni, non credo che sono stati molti i portieri che a quell'età hanno giocato una finale di Coppa dei Campioni. Per carità, ho sulla coscienza il primo gol, ma al di là di tutto ha ragione Capello quando dice che quella squadra era ingiocabile per chiunque. Poi la finale venne disputata a Rotterdam, praticamente a casa loro: era una partita già segnata. Avremmo dovuto compiere un'impresa e così non fu».


Un libro pieno di aneddoti e ricordi. A quale sei più legato?
«I miei inizi nell'Oratorio di Marghera. Ci sono parti del libro scritte in dialetto, diciamo quasi veneziano, con i dialoghi dei miei genitori. Sono quelle alle quali mi sento più legato. Ricordi indelebili di un'infanzia dove il legame con i miei genitori andava al di là del semplice rapporto tra padre, madre e figlio».


L'Inter di Invernizzi e quella di Bersellini, un uomo al quale eri particolarmente legato.
«Hanno segnato entrambi, e in positivo, la mia carriera. Bersellini, poi, l'ho avuto come allenatore anche alla Sampdoria. Una persona meravigliosa, come straordinaria era quella squadra '79-'80 con i vari Oriali, Altobelli, Beccalossi, Baresi, Muraro, Marini. L'unico rimpianto di quella squadra è non aver portato a casa un trofeo continentale. Lo avremmo meritato».


Capitolo Nazionale: peccato aver avuto davanti un mostro sacro come Dino Zoff.
«Sono felice, perché in azzurro sono cresciuto accanto ad un campione vero e, soprattutto, ad un uomo straordinario che sento spesso perché la nostra amicizia è sacra. Ho vinte due Mondiali: uno come suo vice e l'altro come preparatore dei portieri di Lippi. Sono fiero di quello che ho fatto».


Oggi cosa fa Ivano Bordon?
«Il pensionato. Vivo la famiglia, mia moglie e i nipoti e, chissà, magari un giorno ci sarà ancora spazio per me nel calcio. Vado a vedere tante partite, anche in categorie inferiori. Mi piacerebbe lavorare, magari anche per l'Inter, come osservatore. Vediamo cosa ci riserverà il futuro».