Il caso
21.07.2023 - 09:09
A distanza di vent'anni resta un caso irrisolto l'omicidio di Ferdinando Di Silvio detto il Bello, ucciso la mattina del 9 luglio 2003, all'età di 42 anni, dalle conseguenze dell'esplosione di un ordigno piazzato sotto al sedile della sua auto parcheggiata sul lungomare di Latina. Un attentato in grande stile che ha condizionato gli assetti della criminalità latinense negli anni a seguire fino a oggi, ma destinato a restare senza colpevoli. Per la seconda volta infatti gli approfondimenti investigativi si sono conclusi con l'archiviazione, disposta nei mesi scorsi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma su richiesta della stessa Direzione Distrettuale Antimafia capitolina che ha coordinato la nuova inchiesta - arrivando a ipotizzare il reato di omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso per i principali sospettati - prima di maturare la convinzione che il quadro indiziario non fosse sufficiente per sostenere la pubblica accusa.
La seconda indagine sull'eclatante delitto di Capoportiere era scaturita tra le pieghe di una maxi indagine avviata dai poliziotti della Squadra Mobile, nell'estate del 2018, per focalizzare l'attenzione su una serie di personaggi di spessore della mala locale, ovvero considerati tali dai collaboratori di giustizia. Proprio in quel periodo, infatti, gli investigatori della Questura stavano iniziando a sviluppare i filoni alimentati dalle rivelazioni di Renato Pugliese, alle quali nel frattempo si stavano aggiungendo quelle dell'amico e sodale Agostino Riccardo.
Intercettando quindi una serie di personaggi considerati appartenenti allo stesso ambiente criminale, i detective avevano iniziato a monitorare i principali sospettati di quel delitto, gli stessi che vent'anni fa erano finiti al centro della prima inchiesta, considerati in via ipotetica mandante e ispiratore dell'attentato. Vale a dire Carlo Maricca e Fabrizio Marchetto, i nomi che da sempre circolano attorno alla morte di Ferdinando Di Silvio, specie tra i suoi congiunti: alla luce delle recenti indagini, la Dda di Roma attraverso i sostituti procuratori Corrado Fasanelli, Luigia Spinelli e Andrea De Lazzaro, aveva chiesto per loro l'applicazione della custodia cautelare in carcere che il giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, aveva negato nel settembre del 2020, con una decisione che ha retto anche al vaglio del Tribunale del Riesame, concluso col rigetto dell'appello proposto dai pubblici ministeri. Un iter al termine del quale il gip ha ritenuto che non sono emersi elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio, ma anche per escludere interpretazioni diverse.
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